Mario Ramazzotti – un quarratino agli Uffizi

Mario Ramazzotti – un quarratino agli Uffizi

di Massimo Cappelli

ottobre 2012

In una calda domenica di autunno, mi trovavo in centro a Firenze nei paraggi degli Uffizi. Matteo, mio figlio, venne attratto da un pittore di strada. Quando il mio sguardo e quello dell’artista si incrociarono, riconobbi il mio vecchio amico, Mario “Mariolino” Ramazzotti. Nato in Sardegna, ma trasferitosi nella nostra città appena bambino, a metà anni ‘70 frequentava la Casa del Popolo di Quarrata e lo si poteva incontrare spesso al Tamburo della Luna. Già da allora aveva un approccio col mondo, molto libero e anticonformista; indossava sempre l’abbigliamento da sessantottino, l’Eskimo, le Clark, i maglioni, le sciarpe e tutto il resto. Secondo l’umore indossava il basco, o come il “Che”, oppure come artista di Montmartre.

Come hai spiccato il volo da Quarrata?
Dal ‘76, anno in cui mi iscrissi ad architettura: ero stanco di cinque anni di pendolarismo per andare al liceo e delle intense dormite sugli autobus della Copit dopo aver fatto le ore piccole al “Tamburo della Luna”. Il nuovo ambiente universitario e l’attività politica nel movimento studentesco, mi portarono in una dimensione più ampia della provincia pistoiese. Nel ‘77 feci la mia prima mostra a “La Soffitta” di Millo Giannini, poi ebbi una crisi di identità: la pittura piano piano passò in second’ordine e stavo spaziando in altri campi del disegno: architettonico, grafico-pubblicitario e la cartellonistica. Per mantenermi agli studi insegnavo anche Italiano e Storia dell’arte in una scuola per stranieri.

Raccontaci della tua vita privata e di artista.
La mia attuale compagna è tedesca, si chiama Urlike, e abbiamo un bambino di nove anni di nome Oliver. Poi ho un’altra figlia Ayla, nata nel 1990 da una fidanzata olandese . Questo condizionò molto la mia vita sentimentale e anche i miei anni a seguire, sia per i frequenti viaggi, che per nuove conoscenze artistiche nella terra di Rembrandt. Nell’ 89 ho aperto bottega in San Niccolò a Firenze e ho ripreso a dipingere prima al Piazzale Michelangiolo e poi, dal ‘90, finalmente agli Uffizi, dove sono tuttora… un sogno nato già ai tempi del liceo! Insomma in questi primi anni ‘90, sia per vari viaggi, che per nuove conoscenze, mi si presentarono nuove prospettive di stile di vita e di realizzazione personale. Da giovane liceale, avevo visto gli allievi di Annigoni preparare i colori per dipingere a Buriano. Avevo  bramato di far parte di quella cerchia, e quando una ventina di anni fa, mi si ripresentò l’occasione di fare l’artista, non potei non coglierla e oggi la percorro con soddisfazione. A Buriano nel’ 77 conobbi Ben Long, allievo del grande Pietro Annigoni. Io gli rompevo spesso le scatole con tante domande sulle tecniche, sul mestiere e anche sulla sua vita da pittore. Nacque una simpatia, e un giorno mi regalò il bozzetto di una deposizione fatto in “fresco” su un mezzo tabellone.

Quanto conta per te la libertà?
La risposta è ovvia: tantissimo! Non solo la mia, ma quella di tutti. Se la mia vita è questa, è proprio per il bisogno di libertà, che nel mio caso vuole anche dire non scendere a compromessi, accettare il bene e il male del vivere  “un po’ bohémien”, alla giornata, rinunciare a certi circuiti dell’arte e dei mercanti. Insomma, per quanto possibile, non vendere l’anima. Per esempio non posso lavorare solo nel mio studio (che ho dalle parti di Forte Belvedere) per i committenti; più spesso ho bisogno di stare agli Uffizi dove sono più’ libero e dove il riscontro di quello che faccio è immediato, dove c’è un contatto diretto col pubblico e dove si può’ sentire la battuta sagace, il complimento raffinato… ma anche la critica spietata!

La più grande soddisfazione?
La mia attività mi ha dato tante soddisfazioni e non sono solo riconoscimenti o onorificenze. Un fatto che ricordo sempre con piacere è questo: un giorno all’ingresso di un centro commerciale, mi venne incontro un senegalese che metteva a posto i carrelli; io penso, vorrà qualche spicciolo. Invece con mia grande sorpresa mi disse: <<Grazie!>>  <<Grazie di cosa?>> e lui mi rispose: <<Vedi, io e i miei compagni vendevamo per la strada il poster di un tuo acquerello. E’ grazie a quei soldi che abbiamo potuto mangiare per tante sere!>> Mi ha fatto particolarmente piacere, tanto più che da queste riproduzioni io non ho nessun ricavo.

Cosa vuoi dire ai tuoi ex concittadini di Qua?
Ai quarratini vorrei dire di tenere sempre a cuore, oltre alle bellezze del posto, la tradizione dell’operosità contadina, operaia e artigianale propria di Quarrata. E anche le sensibilità espresse da tanti talenti presenti sul territorio in svariati campi. Naturalmente ricordo quelli a me più affini per la pittura: Fabbri, Magazzini, Scuffi, Barni, Martini, Gaggioli e quanti non conosco, ma che si sono applicati sul territorio. Ricordo con particolare piacere Carlo Giacomelli che dipingeva le sue opere nei crocicchi per poi mostrarle alla ormai scomparsa “Baracchina”. Ero bambino e ne traevo stimolo, curiosità e desiderio di imitarlo. Così spero che altri abbiano gli stessi stimoli e che sviluppino con successo il loro talento. E spero anche che qualcuno si ricordi ancora di me.

 

 

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