Remo Drovandi – il lattaio con la passione per le gite domenicali

Remo Drovandi – il lattaio con la passione per le gite domenicali

di Carlo Rossetti

giugno 2016

Viene molto spesso usato l’aggettivo solare, per indicare una persona dal carattere aperto, sorridente e ottimista. Crediamo che il termine calzi a pennello per il nostro personaggio: Remo Drovandi, meglio conosciuto come Remo “Il lattaio”.

Viso rubicondo, flemmatico, serafico, carattere pacioso. Voce da clarone. Ha svolto per lunghi anni il lavoro di lattaio, attraversando in lungo e in largo le strade di Quarrata e delle frazioni circostanti, con il furgone del latte e dei suoi derivati. Prima sostando presso ogni famiglia, poi, con l’avvento della grande distribuzione, facendo tappa ai supermercati della zona e ai bar. Inverno ed estate, sia al mattino che a tarda sera, era facile incrociarlo, sempre senza fretta, perché Remo non si lasciava contaminare dal mondo circostante. Nei ritagli di tempo, quando ne aveva, non disdegnava di occuparsi dell’orto e di un piccolo appezzamento di terreno, retaggio della sua appartenenza a una famiglia contadina. In gioventù si occupò anche della musica, sull’esempio del padre Vittorio, per lunghi anni ottimo sassofonista della banda, ma dopo lo studio del metodo Bona, affrontando il clarino, si accorse che il piccolo strumento non era adatto per lui, a causa delle dita non proprio filiformi. Non si può dire però che non abbia dato il suo contributo alla musica, anche se indirettamente. La Filarmonica di Quarrata conta tra i suoi musicanti migliori, i figlio Massimo e Marco, quest’ultimo ottimo baritono e i nipoti. Più di così. Nel suo peregrinare da una casa all’altra, trovava sempre il tempo di intrattenersi a parlare con le casalinghe, diventando infine un amico e un confidente, insomma una sorta di confessore laico.

Così, raccogliendo notizie, umori, frustrazioni e desideri delle sue clienti, capì che avrebbe potuto organizzare delle gite domenicali per portarle in giro, consentendo loro di spengere i fornelli e lasciare almeno per un giorno, le anguste mura domestiche. Ne parlò via via un po’ con tutte incontrando in principio, com’era prevedibile, una certa titubanza. Si cominciò con un giro di prova non allontanandosi tanto, per verificare i possibili effetti collaterali, come urto del vomito e scarpe che fanno male. Il numero zero delle gite, come si fa per le pubblicazioni.

Le prime mete prese in considerazione è facile immaginare furono di motivo religioso. Si cominciò subito con la celeberrima Madonna di Valdibrana per proseguire poi con quella di Montenero. Un successo. Alla partenza, l’appello come a scuola che Remo poteva fare senza microfono, grazie alla sua voce. Con prontezza la Pia e la Marsilia rispondevano presente, così come tutte le altre. Poi il via all’autista. Da allora, nel corso degli anni, tanti sono stati i luoghi visitati da Remo e dai suoi gitanti. Alle mete celebri di Roma, con particolare riguardo alla Basilica di S. Pietro e al Papa, si aggiunsero Assisi, Venezia, Napoli, Pompei, la Costiera Amalfitana e tante altre ancora, fino alle innumerevoli escursioni all’estero. Per soddisfare il desiderio dei ragazzi, non mancava mai una gita a Gardaland. Fu in questo modo che tante persone poterono visitare grazie a Remo, la nostra penisola e vedere anche l’Europa. L’iniziativa di Remo, a pensarci ora, può essere considerata come un progetto di riscatto sociale, atta a gratificare le lavoratrici e ad affrancarle dall’impegno costante quotidiano. Nelle gite domenicali, nonostante il sapore ruspante, non poteva mancare l’arte. Oltre alle visite a musei e a Chiese con affreschi, non mancava la musica che trovava la sua esaltazione con il viaggio all’arena di Verona per assistere alla rappresentazione di qualche opera importante. Remo, oltre a essere l’accompagnatore, era anche l’intrattenitore e durante il viaggio era solito raccontare fatti di vita paesana, aneddoti legati a persone conosciute, infarciti sempre da una bonaria ironia, ai quali aggiungeva qualche barzelletta, attingendo anche al repertorio osé. Ma il discorso poteva spostarsi anche su un piano più impegnato per far conoscere aspetti storici e artistici del luogo da visitare.

Uno dei punti di forza, diremmo il fiore all’occhiello, erano le merende che a sera, sulla via del ritorno, Remo offriva ai partecipanti, senza dimenticare la colazione della mattina fatta in pullman, in cui venivano distribuite buonissime brioche appena uscite dal forno e bevande varie. Trovato un idoneo posto per parcheggiare, aperto uno dei portelloni del pullman, dalla pancia dell’automezzo veniva fuori ogni ben di Dio per una merenda prete a porter. Remo, lasciato momentaneamente il suo ruolo principale, predisponeva un piccolo banco e indossato un immacolato grembio bianco, si calava nel ruolo di chef. Uno chef campestre, ma che non aveva nulla da invidiare agli attuali cuochi televisivi. Installato sull’apposito sostegno, un prosciutto inviava ai gitanti il suo profumo. Un biglietto da visita olfattivo che lasciava ben sperare. Non erano prosciutti titolati, non si chiamavano Rovagnati o San Daniele, o Parma, ma erano altrettanto buoni perché venivano da contadini della nostra zona. Insieme formaggi, salame e mortadella. E mentre lui provvedeva a mettere su un piatto fette su fette, altri addetti ai lavori, abituali assistenti di Remo, provvedevano ad affettare il pecorino e grosse fette di pane, naturalmente cotto con il forno a legna. Volendo, alla fine, c’era pure vinsanto e berlingozzo, con acqua e vino, regolarmente contenuto nei fiaschi di una volta. Durante la preparazione venivano a formarsi due schieramenti: da una parte Remo e i collaboratori, dall’altra in trepidante attesa della merenda gli altri, con le mani protese verso il banco, attenti a non subire il sorpasso della persona accanto. Per tutto questo a Remo gli fu attribuito il nome de L’Alpitur del Pontagliano.

Ora nei vecchi gitanti rimasti, c’è il ricordo di magnifiche giornate di svago, all’insegna dell’amicizia e del divertimento. Anche la Pia viene presa dal magone ogni qualvolta, frugando nei cassetti, rivede il sottabito buono che metteva in occasione delle gite.

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