Samuele Maffucci – Conservazione e Restauro Organi Storici

Samuele Maffucci – Conservazione e Restauro Organi Storici

di Marco Bagnoli. Foto: Massimo Luca Carradori.

settembre 2015

In un ventoso pomeriggio di luglio ci siamo furtivamente avvicinati al misterioso mondo degli organi, approfittando di queste correnti d’aria che ci hanno introdotto alle loro canne. Ne parliamo con Samuele Maffucci, titolare della sua omonima bottega in via Boschetti E Campano.

Come ti sei avvicinato agl’organi? Sei forse il prosecutore di un’attività di famiglia?

La passione musicale è nata da un nonno paterno, uno di Piteglio, che suonava il clarino e conosceva molto bene la musica – così verso i sei sette anni ho iniziato anch’io ad appassionarmi alla musica e poi agli organi; la formazione del mestiere l’ho avuta invece presso un organaro di Montemurlo, Alberto Lorenzini, che è stato il mio maestro per circa undici, dodici anni – dopodiché, ho iniziato l’attività in proprio intorno al 2006. Ho avuto la fortuna di essere seguito da Lorenzini che è uno dei primi nel campo del restauro filologico dello strumento, solitamente considerato alla stregua di un arredo o poco più fino a qualche decennio fa – e in certi contesti ancor oggi, mentre invece sono delle opere d’arte che devono essere tutelate, al pari di quadri o statue. Esiste una tradizione anche qui a Pistoia – gli Agati-Tronci sono una delle ditte più importanti d’Italia; gente che insomma sapevano il fatto loro.

Che mestiere è? E’ difficile?

Beh, tutto è difficile, diciamo che ci vogliono tanti anni per arrivare a possedere le competente necessarie, perché si parte dalla conoscenza dell’oggetto in sé – poi sono necessarie nozioni di falegnameria, di lavorazione dei metalli, stagno, piombo, ferro, pelle – insomma è un po’ un tuttologo l’organaro per come lo si concepisce in Italia. Per non parlare delle conoscenze occorrenti anche in campo chimico e matematico, per evitare di diventare noi stessi un ulteriore elemento di deterioramento della materia, quindi una preparazione teorica, ma anche pratica, quella di bottega, che poi alla fine è quella che conta. Una scuola specifica professionale non c’è, quindi non è un caso che gli organari sono poche decine in tutta Italia, compresi alcuni che un po’ si approfittano della scarsa conoscenza dello strumento per fare dei facili guadagni – nonostante i pochi ispettori ancora in servizio. Diciamo che è un lavoro che si fa soprattutto per passione.

Gran parte del tuo lavoro si svolge pezzo per pezzo, smontando e rimontando l’organo nel tuo laboratorio e poi di nuovo nella sede naturale dello strumento, giusto?

La quasi totalità degli strumenti vengono smontati completamente e portati qui, salvo i casi nei quali l’organo è così ben conservato da non necessitare uno smontaggio totale, come ad esempio quello di Buriano, talmente ben realizzato e conservato che dopo centocinquant’anni aveva solo necessità di una revisione, un restauro parziale e niente di più. Sennò sono migliaia di pezzi che vengono smontati e portati qui… e ciao! E ogni organo è come le persone, non ce n’è uno uguale.

Ci vogliono anche delle capacità musicali…

Almeno da un punto di vista teorico la musica è importante, e se uno lo sa anche suonare è anche meglio. Io non sono un organista, ho studiato pianoforte e clarino, senza arrivare fino in fondo, ma mi è servito perlomeno a livello teorico; l’altro collega, Enrico Barsanti è diplomato in organo e quindi è ancora più portato a cogliere tutte le sfaccettature dello strumento, anche per contestualizzare in modo critico alcune sonorità nel proprio periodo storico; è l’impegno filologico di cui si parlava prima… Andrea Michelozzi è invece il nostro apprendista, anche lui motivato dalla necessaria dote di passione.

Qual è il territorio che coprite?

Potendo preferiamo rimanere in loco, un po’ per le difficoltà degli spostamenti, un po’ perché ovviamente conosciamo meglio gli strumenti del nostro territorio. Comunque siamo andati dal Giappone a Basilea, in Svizzera, in Trentino, in Puglia, nel Lazio. è interessante poter viaggiare, anche per studiare delle cose nuove, che fa sempre bene. 

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