Croci stanziali – Storia dei monumenti popolari di Agliana

Croci stanziali – Storia dei monumenti popolari di Agliana

di Marco Bagnoli

novembre 2011

Gli abitanti di Agliana sono all’incirca 17.000 e vanno d’amore e d’accordo come meglio possono: è per questo che si separano accuratamente per meditare le malefatte, nelle quattro chiese, delle quattro parrocchie del paese. Tanto per non rischiare, qualche croce in più la trovano pure andandosene per la loro strada. Stiamo parlando delle croci stanziali che da oltre 150 anni gestiscono il traffico nervoso delle anime aglianesi. C’è quella di Tamburo, in cima a via Garibaldi, quella alla Torre, prima del cimitero di via Matteotti e quella piccola, in ferro battuto, in fondo a via Bellini, per andare alla stazione; fino a poco tempo fa ce n’era una sul muro della casa in via Silvio Pellico, che hanno demolito e rifatto nuova e adesso si trova custodita nella chiesa di San Piero. Quella in via Curiel, quella in via Ticino; a San Michele ce n’è una anche in piazza e una dentro la chiesa. L’ultima, quasi dimenticata, anzi, praticamente perduta, è infilata in mezzo alle canne che crescono arruffate e prepotenti sulla vecchia strada romana, srotolata e incerta, dopo il fosso del Pontalto. Era la grande famiglia di Baldassarre, che metteva le croci. Lo chiamavano l’omo bono, l’uomo santo, l’omino: veniva da Vercelli e diceva d’essere in pellegrinaggio.

Baldassarre Audiberti comparve in Toscana verso il 1790 e per quasi altri sessant’anni continuò a girare il centr’Italia, caricandosi la pena della salvezza degli uomini. Di lui si diceva che avesse qualcos’altro sulla coscienza, che risaliva ai suoi primi trent’anni di vita, magari un delitto, quanto meno un segreto, tipo quello d’essere in verità francese, un vescovo scismatico poi mosso a pentimento, o un generale napoleonico sconvolto dalla guerra, o uno di quelli che tolsero il cappello a re Luigi XVI. Arrivò ad Agliana il 12 marzo 1843 e a partire dal 14 marzo, l’Audiberti di Vercelli – come lo chiama don Enrico Nesti, parroco di San Michele – colloca ben venticinque croci, presso case e poderi. Con l’andar del tempo queste croci, che erano di legno, cominciarono a rovinarsi e furono sostituite da quelle in ferro, a meno che non fossero alloggiate all’interno di una nicchia. Sono soltanto tre le croci di Agliana che ancora possono suggerirci il loro aspetto originario, quella di Tamburo, quella alla Torre e quella in Via Ticino. Quella di Tamburo era inizialmente posta sul muro della casa colonica che un tempo fronteggiava l’attuale cappellina, all’incrocio di via Bellini con via Garibaldi; in seguito alle inevitabili metamorfosi e attraversata dall’abitato, la croce ha cambiato posizione, fino a quella che sembrava la sua definitiva messa a riposo, in un fienile della stessa via. Sono stati i paesani della zona a radunare le suggestioni di un’antica devozione per dare avvio ai lavori di recupero, affidati in quei primi anni ottanta al pittore quarratino Mario Abbri.

Fu a quel punto che ci si rese conto dell’effettivo valore storico del reperto, inserito di diritto sotto la tutela della Sovrintendenza alle belle arti e quindi necessitario di un appropriato trattamento, portato a termine nel 2000 dalla restauratrice di Agliana Serena Innocenti. Nel 2008 è stato poi il turno di Paolo Bini, anch’egli restauratore, il cui intervento si è limitato alla semplice preservazione di quanto era già stato fatto. La croce di San Michele è stata invece ricostruita ex-novo da Paolo, compresi tutti i segni della Passione: la lancia del costato e la canna dell’aceto, la mano dello schiaffo, la tunica di un sol pezzo, il gallo che sconfessò Pietro, il titolo di Re dei Giudei, la *Veronica, i due flagelli, il martello della crocifissione, la scala, il sacchetto coi trenta denari, la spada dell’Orto degli ulivi, l’amaro calice, i dadi con cui i soldati si giocarono la tunica, le pinze e l’unguento.

Le altre croci e i loro segni, sono sparite un po’ alla volta nei lavori degli anni ’50, demolite assieme ai tabernacoli ed ai basamenti che raffiguravano i pendii del Golgota. La memoria della loro presenza ci viene raccontata da Santino Gallorini, autore di “Pellegrino verso il cielo”, uno dei tanti che hanno deciso di passare un po’ di tempo assieme al buon Baldassarre.

 

* È il tradizionale riferimento alla figura della donna che deterge il volto di Gesù con un telo, sul quale resta impresso – vera icona, immagine, appunto.

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