Lo squadrismo nel pistoiese

Lo squadrismo nel pistoiese

di David Colzi

dicembre 2022

Il 28 ottobre l’Italia ha ricordato uno degli eventi cardine della storia del ‘900 europeo, ovvero i cento anni dalla marcia su Roma. Noi in questo spazio non vogliamo parlare dell’evento in sé, ma di quello che c’è stato prima e subito dopo, quindi del fenomeno dello squadrismo nel cosiddetto “biennio nero”, 1921-22, che vide l’affermarsi del fascismo con tutta la sua dirompente violenza; una violenza che durò incontrollata anche nel 1923. Per rimanere in ambito locale, ci serviremo del prezioso resoconto di Stefano Bartolini, direttore della Fondazione Valore Lavoro di Pistoia, dal titolo: “Una passione violenta – storia dello squadrismo fascista a Pistoia (1919-1923)” edito dallo stesso Comune nel 2011.

L’ondata nera arrivò da noi, come nel resto della Toscana, nell’inverno del 1920/21, e invase prima le grandi città come Firenze e Siena e poi a macchia d’olio le campagne. A Prato e Pistoia gli squadristi entrarono attorno al mese di dicembre e naturalmente la tempistica non fu casuale. Infatti il biennio rosso, 1919-1920, era già in pieno reflusso, nonostante l’ottima performance elettorale dei socialisti italiani alle amministrative di ottobre. L’ultimo colpo di coda di quella stagione di speranze rivoluzionare si era manifestata nell’estate di quell’anno, con l’occupazione delle fabbriche nei primi giorni di settembre. Potente era stato anche lo sciopero contro il caro viveri nell’estate del ’19 che aveva visto in prima linea molte donne. In questo clima incerto la borghesia e i ceti dirigenti temevano una rivoluzione imminente, paventata anche dallo slogan della sinistra, fare come in Russia, cioè attuare una rivolta nazionale simile a quella bolscevica del 1917. A rendere ancor più turbolenta la situazione, c’era anche un nuovo soggetto politico, il PPI, Partito Popolare Italiano, fondato da don Luigi Sturzo, in costante ascesa e anch’esso fautore di scioperi e rivendicazioni nelle campagne, con l’occupazione delle terre. Quindi possiamo dire che i socialisti attizzavano il modo operaio cittadino, mentre i “bianchi” quello del mondo rurale, fra mezzadri e braccianti. Non a caso in quelle elezioni del 1920, i comuni di MontaleAgliana e Tizzana andarono ai popolari, mentre i socialisti si accaparrarono i centri urbani come Pistoia, Lamporecchio e San Marcello. In quei mesi concitati era ancora marginale, a livello politico, i fasci di combattimento di Mussolini, che cercava un suo spazio definitivo a livello nazionale e locale.

Nei palazzi del potere si viveva questi sconvolgimenti con paura e rabbia, e si bramava un ritorno dell’“Ancien régime”, con il bruciante desiderio di annullare i pochi diritti conquistati dai ceti meno abbienti. “La guerra Santa dei pezzenti” come cantava Guccini, doveva essere vinta dai padroni, che non erano solo i capitani d’industria, ma soprattutto gli agrari, cioè i ricchi possidenti terrieri, una categoria che nell’Italia rurale dei primi del ‘900 rappresentava l’architrave dell’economia nazionale. Il malcontento però non riguardava solo i grandi capitalisti, ma scivolava giù fino ai piccoli imprenditori e ai bottegai, cioè coloro che soprattutto nel 1919 avevano subito più duramente gli scioperi, i saccheggi arbitrari, le requisizioni organizzate dalle Camere del lavoro, e in alcuni casi atti di vandalismo, come accadde dalle nostre parti all’emporio Lavarini di Pistoia. Insomma, l’Italia post bellica era allo stremo da entrambe le parti, sia in alto che in basso; tutti tiravano acqua al proprio mulino e i governi nazionali che si succedevano a ritmo costante, non riuscivano a trovare soluzioni efficaci o durature. In tutto questo i nuovi soggetti politici non contribuivano a mitigare la situazione, accendendo gli animi, con slogan e promesse.

Da qui si capisce che gli squadristi riuscirono a radicarsi bene nelle pieghe del conflitto sociale, dentro il variegato mondo degli scontenti di quella situazione, venendo poi ben accolti e soprattutto ben finanziati dagli imprenditori locali con soldi, mezzi e armi. Loro dovevano sostituirsi ad uno stato liberale decadente e riportare le lancette dell’orologio indietro al periodo pre bellico. Erano un esercito formato da reduci di guerra, da commercianti locali, da universitari e da ragazzini non ancora maggiorenni, imbevuti di un certo nazionalismo romantico, spesso figli di quegli imprenditori e bottegai, messi a dura prova durante il biennio rosso.

La prima significativa incursione degli squadristi in Agliana, viene registrata da Bartolini il 15 maggio del 1921, dopo le elezioni politiche. Il Comune fu occupato tutta la notte e in aiuto dei fascisti locali, arrivano 5 camion di camice nere da Montale, Pistoia e Prato. Durante la spedizione vennero sparati colpi di pistola contro alcune abitazioni e devastata la casa del comunista Barardo Frosini; persino la compagna fu malmenata. Poco dopo, il 17 luglio, ci fu l’inaugurazione del gagliardetto a Montale, che nella liturgia fascista significava l’apertura della sezione locale; questo provocò scontri con i comunisti del paese. Ma il fatto più rilevante si verificò il 20 settembre, quando venne occupato e chiuso il circolo cattolico di Montale, dopo che si erano verificati incidenti in piazza. Questa vivacità è avallata dai censimenti riportati nel libro, che dimostrano come la sezione montalese, che aveva due sedi, registrasse più iscritti rispetto ad Agliana e Tizzana, sebbene si parli di solo di 175 tesserati, pari al 3,2% della popolazione. A questi però vanno sommati i simpatizzanti e i fiancheggiatori. Non stupisce quindi che sia segnalata un’ulteriore incursione del fascio montalese a Santomato nel 1922. Da qui si può intuire che la pressione dei militanti locali, abbia contribuito alla caduta della giunta popolare del paese, ad agosto di quell’anno.

Di contro, Bartolini segnala una certa resistenza di Quarrata alle orde nere; non che mancassero incidenti o agguati ma, tutto sommato, la sezione locale non ebbe grandi proseliti e fino al 1922 il paese riuscì a respingere molte incursioni, grazie soprattutto alle autorità locali che, a differenza di altri luoghi, non erano conniventi con i fascisti. Infatti uno degli omicidi più efferati in zona, quello del fabbro Torello Giuntini, avvenne a luglio del ’22, quando ormai lo squadrismo era dilagante ovunque.

Sugli agguati fascisti alle organizzazioni cattoliche e ai loro rappresentanti, segnaliamo anche quelle a don Orazio Ceccarelli, che subì diverse aggressioni fra il 1921 e 22; una volta venne addirittura sequestrato nella sua canonica, portato in automobile fino a Prato, purgato e bastonato. Sempre nel 1922 venne fatto chiudere il circolo cattolico di Montemagno e la cooperativa cattolica, e furono purgati con l’olio di ricino alcuni soci del circolo. A fine gennaio del 1923 toccò invece al parroco di San Piero subire un’aggressione, perché si rifiutava di bere l’olio di ricino.

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