di Marco Bagnoli
marzo 2025
La storia che vi raccontiamo oggi ha a che fare con l’arte, ma come spesso succede, prende invece le mosse da una vita passata a fare tutt’altro. Stefano Pazzagli, per esempio, oggi che è in pensione, a sessantasette anni, riempie in piena libertà le sue giornate con l’arte che ha imparato a farsi andare bene. Eppure, lui di lavoro faceva il bancario e il promotore finanziario, si consumava gli occhi dietro ai numerini preziosi degli schermi luminosi e della carta moneta. Poi che c’entra, si sa: dipingere ha sempre dipinto, sin da quando era ragazzo, da quando si è un po’ rassegnato a dover studiare da ragioniere. Lui i quadri già li faceva, solo che all’epoca era difficile vedere un futuro davanti, col pennello in mano. E quella voglia matta per il colore ha dovuto inventarsi il modo di sgattaiolare nell’impero quotidiano fatto di partite doppie e conti economici.
La svolta che rende ancora più serio il suo divertimento artistico è l’incontro, del tutto casuale, con Giusy Cumbo anche lei artista e organizzatrice di eventi artistici. E proprio la mostra dello scorso novembre consegna finalmente a Stefano la convinzione che la sua sia una forma d’arte che piace, non solo a Giusy, che ha l’occhio allenato, ma anche ai molti visitatori intervenuti. Niente male davvero, per uno che studiare non ha mai studiato niente – in campo artistico, s’intende. Stefano si è limitato a cercare un suo metodo – e ancora lo sta cercando: dall’astratto è approdato all’urban-street, ossia il tentativo di riportare su tela quello che si vede in giro sui muri. E rubacchiando dei lacerti cartacei dei manifesti affissi, eccolo realizzare delle sorte di collage, sulla tela, per poi disegnarci ulteriormente sopra. E il graffito duro e puro deve temere cara la sua avida curiosità, perché Stefano lo riporterà nei suoi quadri, presto o tardi. Chissà cosa si sono detti, lui e la sua ex-moglie, che dipingeva molto bene, mentre lui e il suo talento hanno scavalcato la fase del figurativo più classico. E pure il paesaggio non rientra affatto tra i suoi gusti, se non fatto in maniera particolare, sicuramente non in stile-cartolina. Anche i mostri sacri della storia dell’arte potrebbero risentirsi un po’, dal momento che Stefano non si ispira a nessuno in particolare, ma segue la magia dettata dai colori e dal modo migliori di abbinarli. E nella “confusione” di un apparente intento astrattista, ecco invece emergere un vaso, una barca, fatta magari col mestolo delle crèpes. Al di fuori del cervello di artista che gira veloce come una trottola, nel mondo reale della mostra di novembre Stefano si è sentito molto bene, apprezzato, ammirato, e pure comprato.
Che altro chiedere? Qualche quadro, come quelli con la Pantera Rosa, sono finiti in casa di amici con figli; altri sono sbocciati multicolori su commissione, e hanno quindi un soggetto. In quanto amante dei colori sono proprio i cartoni animati a solleticare il suo interesse – insomma, come dire che il suo focus ormai dichiarato è proprio il colore e il modo in cui si presenta nei suoi infiniti accostamenti. I suoi lavori poi non hanno mai titolo, ognuno ci veda quello che preferisce. Prima di novembre non aveva mai esposto, e molto probabilmente verso la primavera tornerà sul luogo del delitto, per restarvi e farsi guardare per bene. La sua è una casa piena di dipinti, Stefano si ingegna di smaltirne un bel po’, in attesa che la giostra della creazione artistica riprenda la fanfara. Usa acrilico su tela, e stende il colore usando i contenitori per l’olio di plastica, quelli col beccuccio. La sua è una pittura materica, in rilievo proprio, colori pastello. E domani Stefano s’inventa lo spray. O perlomeno inventa il suo modo personale di usare lo spray. Un po’ come la vita, che mica la inventi. Ma la tua maniera quella sì.