Giovanni Fattori – memorie dal lager

Giovanni Fattori – memorie dal lager

di David Colzi

settembre 2017

Le vicende del signor Giovanni Fattori legate al periodo della seconda guerra mondiale, rappresentano una testimonianza molto importante perché aiutano a far luce su un aspetto poco conosciuto delle rappresaglie naziste dopo l’8 settembre, ovvero le deportazioni nei lager tedeschi dei militari italiani, i cosiddetti I.M.I. (Internati Militari Italiani o Italienische militärinternierte).

La storia di Giovanni inizia il 15 gennaio del 1943, quando venne accolta la sua domanda di entrare a far parte del corpo dei Carabinieri. Dopo essersi presentato alla Legione dei Carabinieri di Firenze, fu mandato a Roma per l’addestramento. Così, questo giovane montalese di 18 anni, si trovò nel giro di poco tempo in prima linea, che in quel periodo significava stare sotto i bombardamenti alleati. Giovanni ricorda ancora quelli del 19 luglio che devastarono il quartiere romano di San Lorenzo (e non solo), al seguito dei quali si trovò a prestare servizio senza neppure aver fatto ancora il giuramento, cosa che peraltro fece solo dopo finita la guerra. Ma i libri di storia ci ricordano che in quel luglio ci fu un altro avvenimento importante, preludio dell’armistizio, ovvero l’arresto di Mussolini su ordine di Vittorio Emanuele III e la nomina del generale Badoglio a capo del governo. L’arresto venne effettuato appunto dai Carabinieri fedeli al re, e il dittatore venne condotto proprio nella Caserma della Scuola Allievi Carabinieri, dove si trovava Giovanni. La situazione stava precipitando e i tedeschi, intuendo l’inevitabile, iniziarono a invadere il nostro Paese. Arrivò l’8 settembre e l’Italia cadde nel caos che tutti conosciamo: i militari, tra cui i Carabinieri, si trovarono senza direttive e fecero il possibile per non far sprofondare il Paese nell’anarchia. Le caserme vennero occupate dai tedeschi e a Roma l’unica che rimase libera fu proprio quella di Fattori, mantenuta attiva allo scopo di garantire l’ordine in città. Questa eccezione ebbe però breve durata e il 7 ottobre il nostro concittadino, assieme ad altri 2500 carabinieri, fu arrestato, dato che l’Arma era stata sciolta dal comando tedesco.

Giovanni e i suoi compagni vennero caricati su vagoni bestiame, 60 uomini in ciascuno, e partirono dalla stazione Tuscolana diretti in Austria. Fattori ricorda che arrivarono allo scalo del Tarvisio dopo 4 giorni e solo allora riuscirono ad avere un secchio d’acqua per dissetarsi, mentre per i loro bisogni corporali, avevano fatto un buco nel pavimento di legno. L’ultima fermata fu il campo di lavoro di Kapfenberg a 150 km da Vienna, che faceva capo al lager di Wolfberg. In luoghi come questo i militari italiani non erano tenuti solo in prigionia, ma venivano sfruttati per i lavori manuali, proprio perché la maggior parte degli uomini e dei ragazzi tedeschi si trovavano al fronte. Era quindi una detenzione diversa rispetto a chi era finito ad Auschwitz, e quando Giovanni venne spostato a Bruck an der Mur poté anche scrivere alla famiglia, sebbene tra mille difficoltà e censure. Ciononostante il lavoro era massacrante; prima fu costretto a scavare fosse per le patate, poi fu impiegato come manovale nelle ferrovie per caricare a mani nude i vagoni dei treni con carbone e acqua, 12 ore al giorno. Il cibo era poco e schifoso e per giaciglio aveva un pagliericcio dentro una baracca senza finestre, dove viveva assieme ad altri 16 uomini. Nel frattempo in Italia era stata creata la Repubblica di Salò, nel disperato tentativo di mantenere in vita il regime, e i nazi-fascisti andavano nei campi di detenzione a chiedere ai militari italiani di unirsi alla loro causa, garantendo in premio la libertà. Ma la maggior parte rifiutò, perché come già detto, erano leali al re; fra questi c’era il nostro concittadino.

 

Tra mille sofferenze, si arrivò a marzo del 1945, quando durante una consueta giornata di lavori forzati alla stazione di Kapfenberg, Giovanni si trovò sotto i bombardamenti alleati; colto di sorpresa si buttò dentro una fogna per ripararsi, rimando così sepolto dai detriti sollevati da una bomba. Lì dentro rimase per un giorno intero e fu solo grazie a due suoi compagni se venne liberato, perché questi sapevano della fogna e poterono così guidare i soccorsi nel recupero. Lo trovarono sfinito e in preda alla febbre alta, ma per fortuna ancora vivo. Poco dopo, le guardie lasciarono il campo e i prigionieri furono finalmente liberi. Giovanni assieme ad altri compagni, iniziò quindi la sua marcia verso casa, prima in treno, poi con passaggi di fortuna ed infine in bicicletta da Prato. La storia del giovane carabiniere Fattori proseguì anche nel 1946, quando finalmente fece il suo giuramento.

Per gran parte della sua vita Giovanni non ha mai raccontato questi fatti e il silenzio lo ha rotto solo nel 2010, a seguito di una malattia, che lo ha convinto a tramandare la sua brutta esperienza alle future generazioni, perché non accada mai più. A riguardo è stato scritto: “Giovanni Fattori – Lettere di un montalese dal lager nazista” di Matteo Grasso, che da noi si può consultare alla biblioteca di villa Smilea.

Questo volumetto molto interessante e dettagliato, ha permesso a Marcello Vanchetti, uno dei compagni di prigionia che salvarono Fattori dalla fogna, di riabbracciare il suo compagno dopo 72 anni. Il libro è finito infatti nelle mani di un alunno della terza media di Grassina, dove risiede Vanchetti, e il compagno di questo ragazzo era nipote di un fratello di Marcello. Il primo commovente incontro fra i due ex deportati c’è stato a giugno di quest’anno a Montale in casa Fattori, mentre il secondo è avvenuto il 3 settembre, durante la presentazione del libro di Grasso a Villa Smilea, davanti ad una folta platea e alle autorità cittadine.

 

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