La rappresaglia di Striglianella

La rappresaglia di Striglianella

di David Colzi. Consulenza storica: Andrea Bolognesi.

giugno 2022

La rappresaglia di Striglianella è un episodio efferato avvenuto durante la seconda guerra mondiale, il 4 agosto del 1944, la cui vicenda è già stata oggetto di pubblicazioni; noi lo riproponiamo grazie ad una testimonianza inedita, quella del signor Giampiero Torracchi, che all’epoca aveva sette anni.

Giampiero inizia il suo racconto dicendo che negli anni ‘40 a Striglianella, erano molte le famiglie con il cognome Torracchi e tutte imparentate tra loro; le case in cui abitavano erano a ridosso del chiesino, della scuola e della bottega di generi alimentari. Stare così al centro del borgo consentiva di tenere sottocchio la strada che dal basso saliva verso l’abitato e quindi c’era modo di sapere in anticipo se ci sarebbe stata una visita dei tedeschi. Questo dava il tempo agli uomini di andare a nascondersi nei cunicoli sotto la scuola. Spesso le sentinelle erano i bambini come Giampiero, che stavano tutto il giorno fuori a giocare, soprattutto durante l’estate. La zona era anche un crocevia per i partigiani, che occupavano alcune cascine sul monte Javello. Lì in particolare stanziava la famosa Brigata Buricchi, una formazione molto numerosa, la cui triste vicenda meriterebbe un articolo a parte. Nonostante tutta la situazione, Giampiero confessa che non si stava poi così male e gli abitanti non facevano più caso alle incursioni della Wehrmacht. Tutto però cambiò nel mese di luglio del ‘44, quando i tedeschi iniziarono ad andare a Banditelle per requisire il bestiame e i generi alimentari nascosti lì dai contadini di Striglianella per sottrarli alle confische. L’inizio della catastrofe si colloca il 27 luglio, quando durante una di queste razzie, sedici soldati furono attaccati e messi in fuga dalla Brigata Buricchi che si impadronì delle provviste requisite. Così il 2 agosto i tedeschi tornarono in forze per riprendere il controllo di Banditelle. «Dopo i fatti del 27 sapevamo di essere in pericolo» dice Giampiero, «per questo il 2 agosto, quando la mattina iniziarono ad arrivare i tedeschi, noi stavamo tutti chiusi in casa. Il borgo era completamente deserto al loro passaggio». Ma il piccolo Giampiero, curioso come tutti i bambini, non mancò di sbirciare da una finestra la battaglia che avveniva sopra le loro case vedendo i soldati, ventre a terra, strisciare per schivare i colpi dei partigiani nascosti nella boscaglia.

Finito il conflitto a fuoco, si venne subito a sapere che un partigiano russo conosciuto come Boris, era stato ucciso in località Casamato e che due soldati erano stati feriti; il panico si sparse immediatamente nei dintorni. A questo punto gli abitanti, temendo una rappresaglia, pensarono di lasciare le loro case per rifugiarsi da parenti e amici in pianura. Ma appena arrivati al ponte del Mulino trovarono un posto di blocco dove sostavano anche le ambulanze che caricavano i feriti di Banditelle. «Voi, niente andare via; tornare su! Qui non succede nulla» spiegarono i tedeschi facendo capire che, siccome i soldati erano stati solo feriti, non ci sarebbe stata nessuna vendetta contro la popolazione. Ci fu quindi un contro esodo e verso sera le famiglie erano rientrate nelle proprie abitazioni. Ma la gente non si fidava delle parole dei soldati e a temere per la propria vita erano soprattutto i giovani uomini; fra questi c’era Gennaro, babbo di Giampiero, di professione calzolaio. Così calata la notte, prese un sacco, ci mise dentro i ferri del mestiere e se ne andò, certo di trovare riparo da qualche contadino suo cliente. Prima di fuggire però pensò di andare a chiamare suo fratello Leonardo, per convincerlo a fuggire con lui. Leonardo però rifiutò convinto che, siccome era invalido (aveva perso un braccio l’anno prima a causa della scheggia di una bomba), non sarebbe stato arrestato. Quella giornata finì così, fra chi era fuggito e chi era rimasto; fra questi due sfollati di Prato, Andrea Otello Mariotti e suo figlio Walter, un giovanotto di appena ventidue anni.

Il giorno dopo, 3 agosto, non accadde nulla e per Striglianella iniziò a diffondersi un cauto ottimismo. Allora molti imboscati rientrarono alle loro casa, convinti che fosse tutto finito, ma fra questi non c’era però Gennaro, che così facendo si salvò. Infatti quella era solo calma apparente, perché il mattino seguente, il borgo si svegliò circondato da un centinaio di uomini della Wehrmacht. «Qui tutto Kaputt, buttare via, via»; i soldati fecero subito intendere che tutto sarebbe stato raso al suolo, minando le case. Nunziata, mamma di Giampiero, presa come tutti alla sprovvista, aprì la finestra di casa e cominciò a buttare nell’orto i pochi averi che possedeva la famiglia: abiti, biancheria e materassi, formando una catasta. Raccolse poi tutto con dei teli, e una volta presi per mano i tre figli (Giampiero aveva un fratello e una sorella maggiori: Giovanni e Fiorella) partì verso Fognano per raggiungere una parente.

Ma la vera tragedia doveva ancora compiersi, perché i soldati tedeschi, non paghi dei loro propositi di vendetta, rastrellarono tutti gli uomini presenti e li portarono appena fuori dell’abitato, dove oggi c’è un monumento che ricorda dove vennero raccolti. A quel punto la Wehrmacht fece una selezione di persone da fucilare e i condannati furono: i due sfollati di Prato, Amedeo Menicacci, Primo Lucchesi e Leonardo Torracchi. Quest’ultimo era proprio il fratello di Gennaro, che aveva scelto di rimanere. Vennero fucilati lì vicino, oltre il torrente Agna, sul versante di Montemurlo in località Pantiera. Nella memoria di Giampiero è ancora limpida l’immagine della signora Alfonzina, madre del diciassettenne Primo Lucchesi, mentre cercava di strappare il figlio dalle mani dei soldati. «C’era un tira tira generale» precisa Giampiero. «I parenti portavano a sé i propri cari, togliendoli dalle mani di quegli aguzzini che subito se li riprendevano con forza. Le urla, la confusione di quel giorno li ricordo benissimo, anche se ero solo un bambino. Per fortuna a noi non toccò di vedere il momento dell’esecuzione né quello delle esplosioni».

Così, senza neanche una sedia su cui sedersi, Nunziata e i suoi figli iniziarono la vita da sfollati, raggiungendo in un secondo momento Gennaro, a casa di un amico contadino. «Abbiamo dormito per un intero inverno in una capanna  con i nostri materassi poggiati sopra il fieno. Meno male che sotto di noi c’era la stalla; almeno non patimmo freddo» ricorda un po’ emozionato Giampiero. Nella primavera del 1945, quando la guerra era passata e ai tedeschi si erano sostituiti gli americani, i Torracchi andarono ad abitare a Fognano, perché a Striglianella era rimasta in piedi solo la chiesa e la scuola. In quel 4 agosto ben trentasei famiglie persero la casa e cinque persone, anche la vita.

 

 

Nella foto si vede gente di Striglianella, qualche anno prima della rappresaglia.

In piedi da sinistra, la quarta persona è la signora Nunziata Torracchi che regge con le mani il figlio Giampiero. Il bambino alto accanto a Giampiero, è il fratello Giovanni. Invece la sesta persona in piedi, partendo da sinistra, è la sorella maggiore Fiorella.

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