Ardengo Soffici a Fognano

Ardengo Soffici a Fognano

di Marco Bagnoli. Foto: Gabriele Bellini.

marzo 2015

Poco distante dalla chiesa dedicata a San Martino, si trova la fontana di Fognano, disegnata come un tabernacolo per poter al meglio accogliere l’affresco che la caratterizza. Le figure ritratte rievocano un episodio della vita di San Francesco: quello del miracolo da lui compiuto presso la Verna. Francesco si stava dirigendo coi suoi, lungo le pendici del monte, aiutandosi con una cavalcatura a causa della fatica o di una qualche infermità – in questo caso l’asinello di un contadino del luogo, che lo aiutò volentieri per il resto del viaggio; a questo punto però è il contadino a divenire preda del caldo e della sete. Con il poco fiato rimastogli, riuscì appena a farsi sentire: “o mi trovate qualcosa da bere o pure io mene muoio qua”. Francesco, disceso dall’asinello, si mise a pregare con gli occhi al cielo – e di lì a poco scoprirono una sorgente tra le rocce, “ne cavò da una pietra: la quale né prima v’era stata, né poi fu vista”, come recita la Legenda maior di San Bonaventura da Bagnoregio del 1263. 

La trasposizione secolare di questo racconto si realizza in una fontana appositamente costruita in forma di tabernacolo per meglio celebrare il termine dei lavori che portarono l’acquedotto a Fognano. Siamo all’inizio degli anni Trenta e il podestà di Montale incarica un suo vecchio amico, Ardengo Soffici, di provvedere alla decorazione pittorica. 

Ardengo Soffici era nato a Rignano sull’Arno nel 1879, di famiglia abbiente poi decaduta; frequenta l’Accademia di Firenze e diviene impiegato presso un notaio, muovendo i primi passi nel campo pittorico ritraendone i clienti. Nel 1900, in occasione della Grande esposizione di Parigi, lascia per la prima volta l’Italia stabilendosi proprio nella capitale: la vita è dura per lui, ma ha modo di conoscere Apollinaire, Picasso e Rousseau.

Stabilitosi a Poggio a Caiano dal 1907, Soffici avvia ufficialmente la propria carriera di “pittore di parole” rinsaldando i rapporti con le avanguardie letterarie: collabora alla rivista “La voce” di Prezzolini e, assieme a Papini e Palazzeschi fonda “Lacerba” nel 1913. Sarà quindi coinvolto, anche fisicamente, nella temperie futurista, interventista e volontario al fronte nel 1915; il conflitto mondiale non mancherà di riverberarsi nei suoi scritti dell’epoca. Seguirà l’intera parabola del Fascismo, dirigendo la pagina culturale del giornale del partito, “Il nuovo paese”, con l’intento di costituire un flusso artistico e letterario che esprimesse le aspirazioni del nuovo corso politico, progetto abbandonato nel ‘24; nel 1925 firma il “Manifesto degli intellettuali fascisti”, e nel 1938 il “Manifesto della razza”, prodromo delle leggi razziali. Da Marinetti egli coglie la retorica e la tecnica dell´analogia, da Apollinaire l´assenza di punteggiatura; la pittura cubista e futurista gli suggeriscono accostamenti fantastici, mentre il nuovo cinema lo scorrere continuo delle immagini. Scrive molto in forma biografica, oltre alla narrativa e alla saggistica, arrivando a sperimentare, alla vigilia del San Francesco di Fognano, tecniche pittoriche d’ispirazione antica con nuove intuizioni. Muore a Vittoria Apuana nel 1964.

 

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