di David Colzi
giugno 2025
La storia che stiamo per raccontare, trova in questa rubrica, “Una bella impresa”, la sua collocazione ideale, e non solo perché si parla di un’azienda giunta quest’anno a 25 anni di attività, ma anche perché la vita del suo titolare è stata una vera impresa, peraltro comune a tanti albanesi della sua generazione.
Gjovalin Gjeloshi (semplicemente “Giovanni” per tutti i quarratini), è nato nel 1980 a Scùtari, una splendida e antichissima città nel nord dell’Albania. Come molti giovani degli anni ’90, dopo la caduta della dittatura comunista, lasciò la sua terra e la famiglia, in cerca di un futuro migliore. All’epoca l’Italia non era ancora considerata raggiungibile per tutti, e per evitare di attraversare il mare, si preferiva incamminarsi verso la Grecia, con la quale l’Albania confina ad est. E così fece anche Giovanni, unendosi ad una comitiva di cinque giovani uomini in partenza. «Era la primavera del 1994 e io avevo solo 14 anni» precisa; «chiaramente ero il più piccolo del gruppo. Quando le donne mi vedevano passare chiedevano ai miei compagni: “Ma dove lo portate questo bambino?” Alcune, capendo cosa mi aspettava, si mettevano a piangere». Di quei lunghi giorni di marcia, a piedi fra le montagne (quattordici in tutto, prima di incontrare il primo paese greco), Gjeloshi ha ancora bene in mente la fatica e la paura di essere arrestato dalle forze dell’ordine, soprattutto una volta attraversato il confine. Per ovviare a questo, gli spostamenti avvenivano spesso di notte, senza alcun riferimento, con il rischio di ritrovarsi al mattino nel punto di partenza, dopo ore di cammino sfiancante. Per il sostentamento, i ragazzi avevano in un primo momento pane e zucchero, acquistati in Albania, ma presto le scorte finirono, quindi si arrangiarono mangiando pesciolini di fiume e frutta selvatica. Quando capitava, bussavano a qualche casolare greco, per elemosinare del cibo. «I ragazzi mandavano avanti me» continua Giovanni. «Nella speranza che, vedendo un ragazzino, non mi scacciassero». Alla fine, seguendo la ferrovia, arrivarono in un villaggio.
Il primo lavoro fu nei campi, con un metodo di reclutamento simile a quello che si vede in certi film americani. Gruppi di giovani albanesi ammassati in piazza, aspettavano l’arrivo di contadini su trattori o camionette, che sceglievano i ragazzi più robusti, li caricavano e poi li portavano nelle piantagioni. «I miei amici mi tenevano sempre con loro, perché si sentivano responsabili per me» dice Gjeloshi. Con i primi guadagni la comitiva acquistò i biglietti del treno per arrivare alla loro ultima meta, Atene. La capitale significava ovviamente più lavoro, ma anche la possibilità di essere arrestati – e malmenati – dalle forze dell’ordine. Qui la compagnia pian piano si sciolse, ma a sostenere i ragazzi c’era un’ampia comunità albanese a cui si potevano appoggiare. Di lavoro in lavoro, si arrivò così al 1998 e Giovanni decise di prendere il mare ed arrivare in Italia, con destinazione Firenze, dove già abitavano quattro fratelli. «D’altronde in Grecia era impossibile avere il permesso di soggiorno, e ogni giorno era un rischio». Tornò quindi in Albania e tentò per ben sette volte di raggiungere Santa Maria Novella. I racconti su tutti questi tentativi, la cui crudezza vi risparmiamo, sono pieni di avventure, molte disavventure, arresti, percosse, uomini dalla dubbia reputazione, tuffi in mare a pochi metri dalla riva, lavori fittizzi per eludere i controlli, trasbordi in bauliera… e un bel po’ di soldi spesi. Ma alla fine, all’ottava volta, gli si aprirono le porte del Bel Paese. Il nostro concittadino era appena maggiorenne. Una volta stabilitosi a Firenze, facendo affidamento sul suo senso pratico sviluppatosi piuttosto precocemente, trovò impiego come muratore assieme a uno dei fratelli, in un settore, quello dell’edilizia, che già allora aveva fame di manovalanza.
Nel 1999 si trasferì ad Agliana in casa con tre fratelli e nel 2000 aprì la sua prima partita Iva. Cinque anni dopo, Giovanni dava già lavoro a una cinquantina di persone, albanesi ed italiane. Inizialmente, vista la giovane età, alcuni committenti erano un po’ dubbiosi sul fatto di affidarsi a lui, ma col tempo e con gli ottimi risultati, la ditta di Gjeloshi si è affermata nella piana, diventando sinonimo di serietà e competenza. Nel 2005 c’è stato il trasferimento a Quarrata. Oggi nella “Gjeloshi Costruzioni Srl” lavora anche la moglie Elyona, in amministrazione. La ditta si occupa di committenze private e continua a dare lavoro in appalto a italiani e albanesi: «La nostra selezione si basa sulla qualità e sull’esperienza, non sulla nazionalità» ironizza Giovanni.
Tu hai un figlio di dieci anni che si chiama Diego: quali valori cerchi di trasmettergli?
«Come hai capito a me nessuno ha mai regalato niente, quindi è normale che cerchi dargli quello che io non ho potuto avere quando avevo la sua età. A parte questo, io e mia moglie ci impegnamo a trasmettergli i valori dell’onestà e della serietà… in più nutro la speranza che scelga, fra qualche anno, di affiancarmi in azienda» conclude Gjovalin Gjeloshi.