di Alessandro Pratesi
dicembre 2025
Nel 2024, su quasi 59 milioni di residenti, hanno presentato la dichiarazione dei redditi 42,57 milioni di persone, ma solo 33,54 milioni hanno versato almeno un euro di Irpef: poco più della metà degli italiani. In media, un contribuente “sostiene” 1,386 abitanti. La distribuzione del carico fiscale mostra un’elevata concentrazione: il 76,87% dell’Irpef è pagato da appena il 27,41% dei contribuenti, mentre il restante 72% ne versa poco più del 23%.
Analizzando gli scaglioni, emerge che poco più di 7 milioni di persone con redditi oltre i 35.000 euro finanziano la gran parte del welfare, mentre solo l’1,65% dei contribuenti – con redditi superiori ai 100.000 euro – paga il 22,43% dell’Irpef. Sommando i redditi tra 55.000 e 100.000 euro (4,17% dei contribuenti e 17,88% dell’imposta), il 5,82% versa il 40,31% del totale. Includendo lo scaglione 35.000-55.000 euro, si ricava che il 63,71% dell’Irpef è pagato dal 17,17% dei contribuenti; estendendo la fascia fino ai 29.000-35.000 euro, il 27,41% dei cittadini sostiene oltre tre quarti dell’imposta complessiva.
Gli effetti dell’attuale struttura fiscale mostrano una progressività poco equilibrata. Uno specifico indice (TIR) evidenzia forti divari: un dipendente con reddito tra 35.000 e 55.000 euro paga imposte pari a 34 volte quelle di un contribuente tra 7.500 e 15.000 euro; tra 100.000 e 200.000 euro la proporzione sale a 149 volte; con redditi oltre 300.000 euro l’imposta equivale a quella di 814 lavoratori nella fascia 7.500-15.000 euro.
I benefici delle riforme fiscali recenti hanno favorito soprattutto i dipendenti, che versano il 60% dell’Irpef (111,2 miliardi su 189,9 nel 2023). Con 20.000 euro annui, il reddito disponibile cresce del 7% rispetto al passato; il vantaggio scende al 3% con 40.000 euro e al 2% oltre i 70.000. Per autonomi non forfettari e pensionati i benefici sono inferiori: massimo 3% a 50.000 euro e tra l’1% e il 2% a 20.000 euro. A margine del tema, è peraltro improprio definire “ricco” chi percepisce 50.000 euro lordi annui (circa 2.500 netti al mese), così come emerge che i veri penalizzati dall’attuale sistema fiscale sono i 3 milioni di contribuenti oltre questa soglia (7% del totale), che sopportano circa metà dell’Irpef e non accedono a detrazioni o agevolazioni basate sull’Isee. Inoltre, subiscono l’aliquota massima del 43%, che in Paesi comparabili (Francia, Germania, Regno Unito) scatta solo per redditi tre o quattro volte superiori. Dunque, in altri termini: a) oltre 13 milioni di contribuenti non pagano nessuna imposta; b) quasi 30 milioni, collocati nel primo scaglione, versano mediamente appena 100 euro annui; c) un sistema in cui una minoranza sostiene la gran parte del finanziamento pubblico.
In sintesi, per rendere più semplice la comprensione dei numeri, il 40% dei percettori di reddito non paga l’Irpef, grazie a un sistema combinato di aliquote basse con detrazioni e deduzioni elevate sulle fasce più basse di reddito. L’80% dei contribuenti percepisce un reddito inferiore ai 29.000 euro ed è responsabile del 30% del gettito. Meno del 20% dei percettori di reddito invece, in particolare coloro che percepiscono un reddito compreso tra 29.000 euro e 75.000 euro, contribuisce per oltre il 40% del gettito. Il restante gettito deriva da quel 2,5% di popolazione con redditi superiori a 75.000 euro. È evidente che la fascia centrale di redditi sostiene gran parte del carico fiscale e finanzia il sistema di welfare. Ultima – e non per ordine di importanza – una riflessione sull’evasione fiscale, che resta molto elevata e sfiora gli 80 miliardi di euro annui, con l’Iva che, storicamente, è stata l’imposta più evasa, almeno fino all’introduzione delle politiche antievasione (fatturazione elettronica, principalmente).



