La Stazione com’era

La Stazione com’era

di David Colzi. Foto: Gabriele Bellini

marzo 2019

La costruzione della stazione di Montale Agliana, fu inquadrata in quell’ottica di ammodernamento ferroviario che coinvolse Firenze fra i decenni 1840 e 1850. La volontà era quella di allineare la città d’arte toscana agli altri grandi centri urbani europei, e questa “corsa alla rotaia” continuò a interessare Firenze anche negli anni successivi, quando divenne Capitale del Regno d’Italia (1865-1871).

Le prime due linee del Granducato realizzate, collegarono il Capoluogo a Livorno e alla nostra Pistoia nel 1848. I treni provenienti da Livorno, dopo ben 3 ore, concludevano la loro corsa alla stazione Leopolda (così si chiamava anche la tratta), mentre quelli da Pistoia, giungevano alla Maria Antonia, l’attuale Santa Maria Novella. La nostra stazione venne attivata il 12 luglio 1851 e inizialmente gli fu dato il nome di San Piero, come ci informa un cartello del 1858 in cui sono annotati gli arrivi e le partenze delle “Strade ferrate”. Probabilmente la scelta dell’intitolazione al santo, fu dovuta al fatto che l’area dove era stata eretta era all’epoca di giurisdizione della chiesa di San Piero Agliana. Non sappiamo con certezza quando abbia cambiato nome, forse dopo il 1913, anno in cui Agliana divenne Comune separandosi da Montale; infatti una cartolina del 1904 riporta la dicitura, “Stazione di Montale Agliana (S. Piero)”. L’avvento delle rotaie cambiò il nome quella località da “Santa Lucia de’ Fabroni”, a quello attuale di Stazione. Ma a parte il nome, per oltre un secolo, quel luogo è cambiato poco.

Per capire com’era Stazione di una volta, chiudiamo i libri di storia e ci affidiamo alla memoria e all’archivio di Bruno Tempestini, nativo del posto, nonché “Ispettore Onorario per i Beni Archeologici per i Comuni di Agliana, Montale, Quarrata e Montemurlo”. Facciamo  un’ideale passeggiata negli anni successivi al secondo dopoguerra.

Se fossimo arrivati da via XXV aprile di Agliana, avremmo visto all’altezza dell’attuale Bar Mary un Landò, cioè un taxi dell’epoca, guidato dal signor Plinio “Gronda” Risaliti (Foto 1).

Si trattava di un carro trainato da un cavallo e adibito al trasporto di persone dalla stazione alla meta desiderata. Quando poi lo spostamento su carrozza cadde in disuso, perché le persone iniziarono a muoversi con bici e motorini, il signor “Gronda”, adibì le sue stalle a rimessaggio coperto per gli avventori della Stazione, che potevano lasciare i loro mezzi in un luogo sicuro. Il “posteggio” rimase aperto fino alla fine degli anni ‘60. Sempre da quel lato, dove oggi c’è il piccolo parcheggio recintato, avremmo potuto notare l’inizio di bel giardino ad uso pubblico, che copriva l’area adiacente all’attuale sottopasso realizzato nei primi anni ‘90. Non a caso fra il personale della stazione c’era un giardiniere. Inglobati in quell’area verde vi erano anche dei grandi cedri del Libano, che sono stati tagliati nel corso degli anni (Foto 2).

Va inoltre ricordato che fra il personale della ferrovia c’erano i cantonieri, impiegati per la manutenzione dei binari, che abitavano nelle case a ridosso della ferrovia. Una di queste abitazioni si può ancora vedere andando verso Oste, dove prima c’era il passaggio a livello, all’altezza della ex Poltronova. Rimanendo dal lato Agliana e guardando verso Firenze, si sarebbe potuto notare il capannone in fondo alla Stazione a destra (quello con la finestra tonda tipo rosone) in piena attività, per lo scarico delle merci. Oggi è dismesso e imbrattato da scritte.

Per raggiungere l’edificio della stazione, partendo sempre da via XXV aprile, avremmo dovuto attraversare i binari in superficie e lo stradello ci avrebbe condotti a sinistra della struttura, dove oggi c’è un muro, e dove all’epoca c’era un piccolo passaggio per accedere direttamente a via Garibaldi (foto 1). Negli anni quel passaggio venne ampliato per consentire il transito delle auto, ed il piccolo tornello fu sostituito da una sbarra (foto 3). Sempre nei primi anni ‘90 ci fu la costruzione del sottopassaggio che vediamo oggi.

Passati dall’altra parte, non avremmo trovato l’attuale piazza Marconi con il suo parcheggio per le auto, ma un muro di delimitazione, perché quello spazio era l’aia interna di una grande e bella casa colonica antichissima (foto 4), abbattuta agli inizi degli anni ‘80 per costruire la zona residenziale che tutti conosciamo e per far posto alla piazza. Questa faceva parte di quelle strutture che nei secoli ruotarono attorno alla cosiddetta villa Sozzifanti, o Selva Vecchia, ed era detta “dei Fondi”, perché era il cognome dei contadini che ci abitavano. Quindi si giungeva in stazione dal lato Montale, tramite uno stradello che divideva il muro della colonica dall’entrata dell’edificio pubblico. La muraglia cingeva inoltre il grosso palazzo, oggi restaurato, che si trovava a ovest della piazza.  Lo Stop che oggi ci permette di immetterci in via Garibaldi da via Luxemburg, all’angolo con via Pacinotti, non c’era; al suo posto vi era un Vespasiano, cioè un orinatoio pubblico (foto 4 – in basso a sinistra).

Lì vicino era ubicato il parcheggio coperto del signor Risaliti (foto 5). Dal lato opposto all’attuale Stop, avremmo visto il mulino di Stazione ancora funzionante, e in angolo con via Pacinotti, i lavatoi pubblici (foto 6). Infatti c’era – e c’è ancora – una gora che scendeva da Montale e approvvigionava lungo il suo percorso i 5 mulini di via Garibaldi e in ultimo i lavatoi, per poi correre sotto la stazione, riemergere dal lato di Agliana in via XXV aprile, e finire la sua corsa nella Bure (foto 7 – in basso a destra si vede l’argine della gora). Oggi dal lato Agliana quel rio è stato coperto per allargare la strada. Siamo sicuri che in pochi sanno che il sottosuolo della stazione contiene degli archi per consentire all’acqua di defluire. Al lato est della piazza, dove via Luxemburg fa angolo, si trovava un altro lavatoio.

Questo piccolo mondo perduto, testimone discreto e silenzioso della nostra operosa civiltà contadina, ha resistito alla modernità fino a una trentina di anni or sono, quindi, a conti fatti, non parliamo di ere geologiche lontanissime da noi. Peccato che a suo tempo non sia stata redatta una documentazione ufficiale prima del rifacimento dell’area, così da lasciare alle generazioni future, un ricordo di Stazione com’era, e quindi di come eravamo noi, gente di campagna.

Buon viaggio a tutti.

Achivio fotografico: Daniele Neri, Adriano Tesi, Famiglia Pierattini e Bruno Tempestini. Per le info, ringrazia anche il signor Guido Risaliti.

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