di Marco Bagnoli
marzo 2025
Francesca ha 26 anni appena compiuti, è redattrice editoriale e Web SEO editor. Cura podcast e rubriche di attualità, occupandosi principalmente di diritti e parità di genere.
Come ti sei avvicinata alla scrittura? Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho cominciato a scrivere da bambina: appena ho imparato l’alfabeto ho iniziato a inerpicarmi per le strade della sintassi. Essendo molto idealista, quando mi sono resa conto che la realtà era più deludente delle storie che avevo in testa, ho dovuto trovare un compromesso. Nell’infanzia ho amato Roald Dahl, Daniel Pennac e trovavo esilarante Roddy Doyle. Nel periodo del liceo, invece, è stato Dostoevskij a farmi innamorare più di tutti. Oggi trovo Furore di Steinbeck una delle cose più belle mai scritte, ed empatizzo facilmente con Martin Eden di London, che usa l’amore per questa donna che non se lo fila come stella polare, diventa uno scrittore e poi scopre che lei è meschina e che il mondo editoriale è spaventoso – e ha ragione. Per un periodo c’è stato Sandor Marai con me. E poi tutto quello che una penna femminista abbia partorito: Lidia Yuknavitch, Valerie Solanas, Annie Ernaux, Toni Morrison, e un’ulteriore infinità di meraviglia a cui sono approdata in età adulta, che mi fa sentire meno sola, e in cui trovo parole che neanche pensavo esistessero.
Il tuo libro “Apnea” tratta un argomento di cui purtroppo si sente parlare ogni giorno: come hai scelto questa tematica, e come hai deciso di rappresentarla sulla pagina?
“Apnea” parla di violenza domestica: fortunatamente il femminicidio è un orizzonte scongiurato, in questo caso. Non si è trattato di una scelta consapevole, ho avuto semplicemente l’opportunità di entrare in contatto con una donna che aveva bisogno e desiderio di raccontare la propria storia. Si è fidata di me, e aiutarla è stata una delle cose più importanti che ho fatto in ventisei anni. La vicenda è raccontata per lampi e accensioni, e d’altronde è così che si ricorda. Il punto è: non c’è un senso lineare. Avevo tra le mani una storia di sangue, rabbia, ma anche di amore e speranza. Credo sia fondamentale raccontare ciò che si vuole raccontare senza risparmiarsi, senza avere pietà per nessuno, soprattutto per se stessi. La pietà è fuori da questo libro perché abbiamo voluto così. C’è un patto con il lettore, e questo patto ha alla base un principio: la sincerità.
Chi dovrebbe leggere il tuo libro?
Sarò molto diretta: tutti. E non perché l’ho scritto io, ma perché c’è urgente bisogno di storie di donne raccontate da donne, soprattutto oggi, in questo clima reazionario che sento sempre più forte e che francamente mi spaventa. La stampa e la politica (quella istituzionale, quantomeno) sono ancora molto impreparate sul tema della violenza di genere, ma queste storie esistono, queste donne esistono. Sono moltissime e non sono né eroine né martiri. Basta con la narrazione polarizzata per cui una vittima di abusi o scappa o si fa ammazzare. La maggior parte vive nella zona grigia, in mezzo a questi due estremi. E bisogna parlarne.
Di cosa parlerà il tuo prossimo lavoro?
Sono in una fase in cui due idee si rincorrono nella mia testa e penso con entusiasmo a entrambe, senza però essere sicura di quale realizzare prima. In realtà, c’è un romanzo che vorrei scrivere da tempo (mi scuserete se eludo un po’ la domanda… sono i trucchi del mestiere, d’altronde). Appena le cose della vita mi lasceranno un po’ di tregua, non vedo l’ora di scoprire se sono in grado di farlo.