di David Colzi. Ph: Foto Q.u.o.r.e
giugno 2025
“Questa è la storia di un tempo lontanissimo, il tempo dei miti e delle leggende…” Battute (ed Hercules) a parte, fare due chiacchiere con Massimo Ferrari, in arte Max Dj, significa ripercorrere la storia della discoteca e dei suoi protagonisti, i Disc jockey. D’altronde, chi meglio di lui, che ha attraversato dietro la console gli anni ’80 e buona parte dei ’90, ci può spiegare come è cambiato il mondo dei locali? Ecco cosa ci siamo detti, in un pomeriggio di fine maggio, quando è venuto a trovarci in redazione.
La prima cosa che ci ha stupito parlando con Max, è che negli anni ’80 i Dj erano considerati musicisti, sebbene non pizzicassero corde o picchiassero sui rullanti. Addirittura c’era chi come lui integrava le performance, usando la tastiera o i pad, cioè i tamburi elettronici, all’epoca molto in voga anche nelle band.
Quindi un vero Dj si deve tenere in esercizio come un qualsiasi musicista?
Ovvio. E bisogna fare le prove prima della serata, anche per capire cosa funziona e cosa no e quali pezzi vanno in sequenza. Io poi compro spesso dischi nuovi, e questi vanno testati, proprio come fa un chitarrista quando acquista un pedale per la chitarra.
Come ascoltatore però inizi col rock, vero?
Verissimo, infatti il primo disco che ho acquistato è stato “Foot Loose & Fancy Free” di Rod Stewart. E come Dj, il rock l’ho sempre miscelato con la dance.
I tuoi inizi?
Ho cominciato nei primi anni ’80 a Montecatini, al “Jefferson Club”, un piccolo locale che lavorava sei giorni su sette, quindi fu subito un bell’impegno, soprattutto se pensi che ero appena maggiorenne. Ho calcato i palchi fino alla metà dei ’90, quando ho smesso per motivi familiari. Da circa due anni ho ricominciato, ma ora è una passione che divido con il mio lavoro.
Oltre a Montecatini, dove sei stato?
Al “Mixer” e al “Mascara” di Pistoia, al “River Piper” di Arezzo, al “Tendenza” di Siena, al “Five” di Verona e col tempo ho girato un po’ tutto il centro e il sud Italia, fino alla Sardegna. Pensa che allora c’erano discoteche con una capienza di oltre duemila persone! Oggi realtà così non esistono più e ci si esibisce in locali più piccoli o in feste private.
Del digitale cosa ne pensi? E’ è un aiuto?
Credo che crei molta approssimazione: tanti giovani, che si definiscono Dj, mettono semplicemente una chiave USB nell’impianto con una playlist preimpostata. Io invece sono rimasto ad un livello artigianale: preparo la scaletta, metto in fila i dischi mix (tutti originali d’epoca ndr) e a seconda di come evolve la serata, arricchisco il repertorio sul momento.
Quindi c’è spazio per l’improvvisazione?
Certo. Mi è capitato diverse volte di mettere più pezzi non previsti, per andare incontro al pubblico e alle sue vibrazioni. In quei casi però c’è il rischio che i dischi non siano miscelabili a causa dei tempi troppo differenti. Se accade, faccio quello che in gergo si chiama “strappo”, cioè interrompo la prima canzone e faccio partire subito quella nuova, stando attento a non far saltare la puntina.
Dunque attenzione al pubblico, orecchio e sensibilità tattile; queste sono le regole?
Sì. Però la cosa fondamentale è saper miscelare i pezzi ad arte, aumentando o diminuendo la velocità di riproduzione con lo slider del mixer, così da farli combaciare al momento del cambio. Oggi a certe finezze ci fanno caso in pochi, ma negli anni ’80 c’era tanta attenzione alla professionalità, e intorno ai Dj più bravi si creavano gruppi di fan che li seguivano nei vari locali.
Erano i tempi del Byblos e del Peter Pan …
Io sono stato Dj resident del Byblos nelle domeniche pomeriggio, giornate sempre strapiene! Chiaramente prestando servizio a Quarrata non potevo farlo ad Agliana, perché nel momento del boom delle discoteche la concorrenza era molta e se suonavi in un posto non potevi andare anche “dai rivali”. La situazione è decisamente cambiata.
Insomma, sei un superstite!
(Sorride) Siamo rimasti in pochi a usare i vecchi piatti technics, perché è più comodo e pratico schiacciare un bottone, anziché portarsi dietro valigie pieni di dischi mix, ma per me questo ha ancora senso, come accade in quelle band storiche dove ai campionamenti e ai sintetizzatori, si preferiscono i suoni caldi, veri e imperfetti degli strumenti.
Se volete seguire Max, nella sua veste di Disc jockey/presentatore/mattatore, potere cercarlo sui social, o meglio ancora nei locali, come il River pub. Da segnalare la sua collaborazione con Nicola Scaraggi, in arte Giaggi Dj, con il quale realizza serate fra musica, video e Karaoke in chiave moderna, il “Dinner show”. Qui, è proprio il caso di dirlo, ce n’è per tutti i gusti… e per tutte l’età. Voi cosa aspettate? Coraggio, scendete in pista!