Come se fosse Antani…

Come se fosse Antani…

di Massimo Cappelli

marzo 2016

La nostra lingua, anno dopo anno, assume diversi neologismi che la letteratura, il cinema e la pubblicità creano, e che poi la gente comune, con il frequente uso promuove come nuovi termini. Calza a pennello l’esempio per Supercazzola, nato quarant’anni fa dal film capolavoro Amici Miei di Mario Monicelli, usato dal conte Raffaello Mascetti in frasi senza senso per confondere l’interlocutore. Da allora questo termine è diventato un vero tormentone, e nel 2015 è entrato di prepotenza nel vocabolario Zingarelli.

Ma cerchiamo di svolgere il significato di questa parola nella pratica, che specialmente negli ultimi tempi mi pare sia molto esercitata. In politica per esempio, tutti i mezzi di informazione sono utilizzati ad arte per infondere il proprio pensiero, per poi, con l’aiuto delle tecniche di persuasione, far passare meglio i concetti che arrivano alle masse. Al contrario i politici, quando devono rispondere ad una domanda incalzante, usano la Supercazzola, cioè il far finta di spiegarsi senza spiegare nulla, senza prendere posizioni e senza esprimere alcun concetto. Vengono inserite parole poco comprensibili persino nelle proposte di legge, dove si usano anglicismi e tecnicismi del tipo Stepchild adoptionJobs act o Bail in, per confondere, o meglio, per aumentare, nelle persone comuni, l’auto-convincimento della propria ignoranza, diminuendo così la possibilità di critica. In fatto di Bail in magari, possono comprendere meglio i genovesi, che potrebbero aggiungere: con scappellamento a destra o a sinistra?

Roberto Benigni diceva in un suo vecchio monologo, che quando portava gli amici di Roma, attori, registi e personaggi dello spettacolo, a casa da sua madre Isolina, lei aveva sempre paura di sbagliare a parlare e di fare figuracce: «volete un caffè… senza offesa»«quanto zucchero… scusate il termine». Da queste battute si intuisce come molte persone semplici si pongano in uno stato di sudditanza letteraria e di conseguenza accolgano come buono tutto ciò che di incomprensibile viene loro detto.

Non essere capiti quindi fa comodo, a volte anche di più che esserlo. Tutti i relatori e i comunicatori lo sanno, per questo usano il metodo della Supercazzola. Ma se gli “incravattati” usano un lessico forbito, fatto di anglicismi per non farsi intendere, anche la gente comune, forse ispirata dal web, usa lo stesso linguaggio solo per darsi un tono. Il poeta monsummanese Giuseppe Giusti, che fu anche accademico della Crusca, in un suo componimento, a metà del 1800 scriveva così: “Vedi di pigliare arditamente in mano / il dizionario che ti suona in bocca / che se non altro, è schietto e paesano”. E se settecento anni fa il Sommo Poeta Dante Alighieri, ebbe l’intuizione di consegnare alla letteratura la lingua parlata fra la gente comune, al fine di far leggere di più e di comprendere meglio, non vedo perché oggigiorno, nel ventunesimo secolo, ci si debba comportare esattamente nella maniera opposta. Non voglio certo demonizzare l’utilizzo di qualche parola inglese, ma solo se essa viene usata per farsi comprendere meglio, non per manipolare. Anche Dante sicuramente, nell’accreditare al Volgare l’ufficialità di lingua italiana, avrà usato qualche termine non propriamente fiorentino, ma lo avrà sicuramente fatto per essere inteso meglio in tutta la penisola.

Mi garberebbe, e pagherei; solo una volta, (anche perché la seconda non mi farebbero tornare) per essere presente alla Camera dei Deputati quando votano le leggi, prendere il microfono e fare una domanda all’Onorevole Boldrini chiedendole: «Presidentessa, permette una domanda? Ma che la minie, lei, la legisfèra?» «Ehhh?» «Puppa!»

Ciao. Alla prossima.

Massimo “Antani”… Cappelli

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