Una passeggiata tra i tabernacoli

Una passeggiata tra i tabernacoli

di David Colzi. Foto: Riccardo Logli.

marzo 2022

Ancora una volta torniamo ad occuparci del nostro territorio con l’aiuto di Andrea Bolognesi, esperto di storia locale. Il tema ci è molto caro: i tabernacoli, e il pretesto per parlarne è il resoconto della camminata “I tabernacoli di Montale”, organizzata dal “Gruppo podistico, trekking e gruppi di cammino Croce D’Oro Montale”, tenutasi domenica 27 febbraio, dove Bolognesi è stato appunto la guida storica.

Partiti dal centro del paese alle 8:30, il gruppo, composto da una quarantina di persone, (alcuni del Gruppo Trekking “Storia Camminata” di Montemurlo), ha seguito per 9 chilometri un facile percorso, salendo fino alle colline di Montale Alto e Fognano, concedendosi una piccola puntata nel comune di Montemurlo. Il tutto è durato 4 ore, considerando anche le fermate ad alcuni tabernacoli per le spiegazioni di Andrea.

Gli aneddoti e le curiosità non sono certo mancate già alla prima tappa, cioè al Ponte del Rosso, dove si trova una piccola croce di ferro, documentata dalla fine del 1700, che dopo la seconda guerra mondiale scomparve e venne ritrovata solo nel 2000 dentro un forno assieme al suo basamento; fu poi ricollocata dal Gruppo Alpini di Montale. La fermata successiva è stata in località Calabria, che non c’entra nulla con la regione del sud Italia, ma come ci suggerisce Gherardo Nerucci, sembra essere un toponimo nato dalla storpiatura del termine “cala la via”.

Di equivoco in equivoco, in zona si trova il tabernacolo dei Boschi, che non fa riferimento alla vegetazione, ma al cognome della famiglia che lo ha eretto. Il gruppo è poi salito verso il castello di Montale Alto, a visitare altri due tabernacoli tra cui quello grande nella piazzetta centrale, con la croce voluta da Baldassarre Audiberti, il religioso francese naturalizzato italiano, che ne fece erigere diverse in zona. Scendendo poi per la vecchia via acciottolata del castello, sono arrivati in località “Malcalo”, dove c’era la residenza del Nerucci. Da lì hanno proseguito verso la fonte del Bagno e poi nella splendida via Risorgimento immersa nel verde, con tappa obbligata al grande tabernacolo ristrutturato nel 2011, nel quale è stata ridipinta una Madonna con bambino dall’artista Giuseppe Gavazzi.

A questo punto, piccola uscita dal comune per andare verso il Carbonizzo di Montemurlo seguendo via Bicchieraia, per raggiungere il tabernacolo del Campo Santo. Anche in questo caso le parole possono fuorviare, perché non c’entra nulla il cimitero ma, come ci spiega Bolognesi, il nome è legato ad un presunto miracolo. Pare infatti che il tabernacolo sia stato eretto per ricordare il luogo preciso dove fu ritrovata nel quattordicesimo secolo la croce d’argento della chiesa del Castello di Montemurlo, trafugata da alcuni ladri in piena notte. Si narra che i malviventi, una volta fuggiti dalla chiesa, si diressero verso Pistoia, ma quando cercarono di attraversare l’Agna lo trovarono inaspettatamente in piena, nonostante non fosse stagione di piogge. Così, dopo un secondo tentativo di fuga, vedendo di nuovo il torrente gonfiarsi, decisero di seppellire la croce in un campo e scapparono. Qualche giorno dopo, questa venne ritrovata da un contadino che vide i suoi buoi fermarsi e inginocchiarsi proprio dove era seppellita la reliquia.

La comitiva si è poi diretta alla Smilea per visitare la sua croce che si trova sul muro esterno ed infine, prima di tornare in centro, sono andati in località “Fangaccio” dove, secondo Bolognesi c’è il tabernacolo più prestigioso dal punto di vista artistico e storico. Questo monumento vanta quattro nomi, ma a noi quello che ha incuriosito di più è “Madonna del latte”, in quanto vi si recavano le puerpere per implorare il dono ed il mantenimento del latte per i loro figli. Singolare il rituale per cui le donne, oltre che pregare, mettevano una tovaglia sul muretto sotto l’affresco e vi poggiavano il seno, per riportare fisicamente a sé, gli effetti benefici del tabernacolo. Questo ci suggerisce l’origine pre-cristiana del rito, quando alle divinità si attribuivano poteri taumaturgici.

Bolognesi ci spiega che la collocazione di questi piccoli monumenti popolari, avevano diverse origini. Alcuni venivano posti vicino alla porta d’ingresso delle case per avere la benedizione del Santo o della Madonna, e talvolta venivano eretti sui muri delle stalle, per proteggere il bestiame; in questo caso si raffigurava Sant’Antonio, protettore degli animali. Altri sorgevano sui ponti, per chiedere la protezione contro le alluvioni (vedi ponte all’Ugna e ponte all’Agna), oppure, al contrario, venivano attaccati ai pozzi per fare in modo di avere sempre tanta acqua per irrigare i campi. Molti erano quelli costruiti per ricordare una grazia ricevuta e perciò veniva apposta la dicitura “Maria Mater Gratiae”.

Insomma, ci spiega Andrea, queste piccole opere d’arte partivano quasi sempre da committenze private e poi diventavano di interesse collettivo grazie alle rogazioni, cioè le processioni sacre che iniziavano a Montale il 17 gennaio con Sant’Antonio e si concludevano il 10 maggio, o la domenica successiva, con Santa Cristina. Quest’ultima Santa rappresenta un unicum locale, che trovava grande venerazione in zona in quanto protettrice dei mugnai e nel nostro comune, come sappiamo, in passato ce n’erano ben venticinque. Bolognesi, ripercorrendo i suoi ricordi di bambino, ci dice che in quel giorno di maggio, tutte le frazioni del comune si riversavano in processione attorno alla piccola chiesetta di Santa Cristina per la Messa cantata, e siccome le dimensioni dell’edificio religioso sono esigue, la stragrande maggioranza delle persone ascoltava da fuori, sul prato. Questa è la storia da cui proveniamo.

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