di Carlo Rossetti
marzo 2011
Credo ci sia in tutti noi uno spirito goliardico che di tanto in tanto si manifesta e si prende beffa di qualcuno; è un piacere antico quella voglia di giocare che talvolta non conosce limiti e che in età adulta può significare il recupero di un tempo ormai perduto. Non credo sia una prerogativa esclusiva dei toscani, ma penso che questo aspetto, specie nei fiorentini, sia abbastanza accentuato. A confermarlo c’è l’ormai celebrato film Amici miei, che ripercorre le gesta del Melandri, del Perozzi, del Conte Mascetti e compagnia. Anch’io mi sono trovato a partecipare a uno scherzo che, nato per caso, finì per avere risonanza anche a livello nazionale.
Era l’estate del 1974, un sonnacchioso pomeriggio di luglio, contrassegnato dal monotono e costante frinire delle cicale quando amici, giornalisti della sede Rai di Firenze, mi confermarono telefonicamente la loro visita a Quarrata, di cui avevamo parlato alcuni giorni prima. Nella breve conversazione fecero accenno a un personaggio che sarebbe venuto insieme a loro, ma ammetto di non avere capito molto in quelle poche cose che mi furono dette e perciò ritenni la notizia semplicemente una battuta. Scopo della loro visita era quello di andare a cena a Lucciano dalla Rita, che molti, i meno giovani, ricorderanno per i pregi della sua cucina tradizionale. Io l’avevo già avvertita fin dal giorno avanti, perché non essendo un normale ristorante, non si poteva arrivare senza preavviso.
Verso le 16, quando mi trovavo in strada a parlare con Luciano Michelozzi, con le spalle rivolte alla piazza del Comune, fui chiamato da Franco, uno degli amici, che nel frattempo erano giunti a Quarrata. Mentre gli andavo incontro, vidi ferma su un lato della piazza una Mercedes blu con la tendina posteriore abbassata. Mi avvicinai e una volta giunto di fianco all’auto, scorsi sul sedile di dietro Giuseppe, l’altro amico, vestito impeccabilmente di blu, occhiali scuri da sole sulla faccia abbronzata e il fez in testa. Rimasi un attimo sorpreso ma in breve tempo mi resi conto della situazione e fu allora che capii il senso della telefonata. Fu aperta la portiera e scese fra inchini e riverenze, degni di un vero e proprio cerimoniale. Nonostante fossimo in piazza e lontano da orecchi indiscreti, mi fu presentato ufficialmente e così Giuseppe Vicari diventò il Primo Ministro Marocchino Hassan El Vicar.
Sebbene accennato, non potei trattenere un sorriso e dovetti sforzarmi per riacquistare un atteggiamento appropriato alla circostanza. Posso dire che in quei panni l’amico Giuseppe era credibilissimo, sì da farmi ricordare re Faruk d’Egitto, in esilio in Italia negli anni Cinquanta, di cui poteva essere la copia assottigliata. Da quel momento ebbe inizio un incredibile pomeriggio. Fu subito chiaro che la cosa non sarebbe finita con l’arrivo a Quarrata e mentre l’autista della macchina, sceso anche lui iniziò a fare foto, io andai a chiamare Millo Giannini che era al suo studio a due passi dalla piazza, per avere un aiuto. Quindi rientrai in casa e tornai fuori con una cinepresa con la quale iniziai a filmare il Marocchino e l’accompagnatore intenti a dare un’occhiata alla piazza.
Intanto alcune persone che dalle case di fronte avevano notato l’insolita coppia, si erano affacciati sul terrazzo; altri che stavano passando dalla piazza, approfittando del fatto di conoscermi mi chiedevano chi fossero i due, in particolare l’uomo vestito di blu e con il fez. La mia risposta era sempre la stessa: <<E’ il primo Ministro Marocchino in visita a Quarrata>>. Anche due amiche sedute sulla panchina e alle quali avevo dato la medesima versione, mi chiesero di interpellarlo sulla possibilità di fare un viaggio in Marocco. L‘Iva, la fioraia, che nell’ore pomeridiane stazionava con una cesta di fiori al limitare della piazza, mentre guardava incuriosita la scena, incrociò lo sguardo del “primo Ministro”; dopo averlo salutato con un lieve cenno della testa, mi chiamò e mi dette un mazzo di fiori da consegnare all’illustre ospite, il quale ringraziò con un sorriso e un ampio movimento della mano. Dopo questi preliminari, in attesa di trasferirci a Lucciano per la cena, la macchina ripartì dalla piazza per fermarsi nei pressi del bar centrale all’angolo fra Via Roma e Via Montalbano. L’accompagnatore scese, entrò nel bar, chiese un caffè, riattraversò la strada e dopo averlo girato con il cucchiaino, lo porse al “primo Ministro” attraverso il vetro del finestrino. La titolare del bar venuta sulla porta, beneficiava di ampi sorrisi e inchini l’avventore eccezionale.
Intanto gli operai della ditta Lenzi che avevano finito il turno di lavoro e altri passanti incuriositi, si erano fermati o avevano rallentato il passo, chiedendo spiegazioni di quell’insolita presenza. La risposta fu sempre la stessa: <<E’ il Primo Ministro Marocchino>>. Quindi la comitiva, alla quale si era aggiunto anche Quinto Tarocchi, prese la strada per Lucciano. Arrivati dalla Rita, dopo uno sguardo al panorama, entrammo nella sua bottega. La Rita appena ci fummo accomodati nella stanza in cui avremmo pranzato, dopo essere passati attraverso la cucina in cui sul fuoco a legna, un paiolo affumicato era in attesa delle tagliatelle, mi chiamò in disparte rossa e confusa. Disse che non avrei dovuto portare lassù quella gente, perché il suo era un ambiente semplice non adatto a ospiti di quella importanza. Cercai di tranquillizzarla dicendole che erano persone che amavano proprio l’ambiente semplice, costretti dal loro ruolo a frequentare luoghi dove era d’obbligo l’etichetta. Tant’è che durante il pranzo mi alzai diverse volte da tavola per comunicare alla Rita e alla Wanda, assistente di cucina insieme a un’altra signora del luogo, che le varie portate erano state di assoluto gradimento, e più volte ritirate nel piatto. Millo pensò bene che la presenza di qualche cittadino importante da presentare al Ministro, sarebbe stato un ottimo dopo cena.
Fu fatta una telefonata e dopo poco tempo arrivò un signore, esponente politico, che si trattenne a parlare con il Marocchino, parlando soprattutto di interscambi fra l’Italia e il suo Paese. Io, Quinto e l’autista ci eravamo assentati perché non in grado di sostenere una conversazione del genere e seguimmo da fuori attraverso le finestre aperte l’assurdo colloquio. Franco, l’accompagnatore, che fungeva anche da interprete per l’inglese del “primo Ministro”cercava di far capire al Marocchino tutto quello che lui capiva già. A una certa ora salutammo e riprendemmo la strada per Quarrata, ma non ancora paghi facemmo tappa a casa mia, per un supplemento di giornata, nonostante le proteste di Giuseppe costretto da ore a recitare una parte così impegnativa. Altra telefonata di Millo ed ecco arrivare a casa mia un altro personaggio molto conosciuto, ottimo pianista e chitarrista. Dopo le presentazioni di rito il nuovo ospite, al quale era stato chiesto di portare la chitarra, dedicò un pot-pourri di canzoni napoletane all’estasiato “Ministro”, il quale disse di conoscere e apprezzare quel repertorio avendo sposato una donna italiana.
A un certo punto, vista l’ora tarda, il Marocchino disse che doveva andare, “per rientrare nella nottata a Roma”. Vero è che era al limite della sopportazione per la tensione accumulata. Avremmo voluto svelare al nostro ospite la vera identità, ma non ci fu il tempo di farlo. Era passata da poco la mezzanotte quando la sagoma della Mercedes blu si annullava nel buio della notte portandosi via il Marocchino che finalmente poteva recuperare la vera identità. Finiva così una giornata che aveva avuto dell’incredibile, proprio perché nata per caso, senza averla progettata. La cosa, successivamente, ebbe anche un’appendice con uno scherzo ai danni dell’autista della macchina.
Sta di fatto che l’anno dopo, nel 1975, “Il Settimanale”, rivista edita da Rusconi, in un articolo che annunciava l’uscita del film “Amici miei”, enumerando gli scherzi clamorosi avvenuti in varie parti d’Italia, riportò anche il nostro episodio, un po’ travisato per la verità, ma comunque citato per l’originalità della burla e la sua riuscita.