1399: un anno vissuto pericolosamente

1399: un anno vissuto pericolosamente

di Luciano Tempestini

marzo 2023

Viviamo in un epoca storica che riteniamo estremamente violenta e inverosimilmente sanguinosa, eppure in epoche passate scorreva molto più sangue di oggi, in un modo che supererebbe le fantasie dello scrittore horror più cruento. Per dimostrarvelo, vi sottoponiamo la cronaca di un anno qualsiasi sul finire del medioevo pistoiese, precisamente il 1399, attraverso un arco temporale che va da gennaio a settembre. Possiamo farlo grazie alle memorie di ser Luca di Bartolomeo Dominici, «notaro» pistoiese, figlio del podestà di Tizzana (in carica nell’AD 1368). Va subito precisato che il periodo di cui si parla, era indubbiamente molto turbolento, soprattutto perché non si erano ancora assopiti degli scontri fra Guelfi e Ghibellini, che a Pistoia significavano Cancellieri contro Panciatichi. Di quel periodo poi, ser Luca documenta anche il flagello della peste e la sua fine. Si tratta di «cronache di fatti notevoli e degni di memoria»come annota il fratello Pavolo di Bartolomeo. Prima di partire per il nostro viaggio, dobbiamo fare un’ulteriore premessa, e cioè che questi resoconti sono stati salvati dalle nebbie del tempo, grazie ad una pubblicazione del 1939, intitolata: “Cronache di Ser Luca Dominici” a cura di Giovan Carlo Gigliotti, una “Pubblicazione della società pistoiese di storia patria”.

Il 1° gennaio 1399 «che era domenica», si insediò a Pistoia il nuovo consiglio cittadino, composto da signori che «giurarono solo essere ghelfi et obbediri li priori di Firenze». Così comunicarono a tutti che la città era filo-papale, quindi, indirettamente, venivano giustificate le rappresaglie verso la parte opposta. Queste naturalmente non si fecero attendere, portando ad un escalation di tumulti e violenza. Facendo un po’ di selezione, vi proponiamo sole la cronache riguardanti la nostra Quarrata.

La prima annotata da ser Luca è del 25 gennaio, e colpì Saltabecco da Montemagno «richohuomo», picchiato e imprigionato. Per rimetterlo in libertà, venne fissata una cauzione di 300 Fiorini, probabilmente nella speranza che lui, essendo facoltoso, potesse disporne. Ma i soldi non arrivarono, per questo Saltabecco venne ammazzato di botte. E siccome ieri come oggi, la violenza richiama la violenza, il figlio trentenne, con la volontà di vendicare il padre, «ne fece una gran vendetta et gran mali».

Sul nostro territorio viene segnalato poi un altro fatto delittuoso il 23 settembre, «venardì nocte sul primo sonno», quando un rivenditore di vino di Tizzana, Biagino di Furicone, «gagliardo giovane et amico dei Panciatichi» subì una rappresaglia da parte di una brigata filo-guelfa che gli incendiò la rivendita, mentre lui era dentro che dormiva. Sorpreso dalle fiamme, fuggi nudo per strada, dove la banda lo uccise sul posto; «così lo lasciarono sulla strada perché ogni uomo lo vedesse». Come se non bastasse, il comandante della brigata rubò gli averi di Biagino per rivenderli «per lira di ciò se ne pigliava». E’ indubbio che certe scene ci riportano alla mente il periodo buio dello squadrismo fascista, segno che la storia non è mai “magistra vitae”.

Sempre dalle cronache si comprende che Tizzana e Montemagno simpatizzavano per la fazione ghibellina e a riguardo si riporta della cattura di Thommeo de’ Gordigliani e di suo figlio che confessarono di voler far insorgere Tizzana contro i Guelfi. Per punizione furono confinati a San Marcello nel mese di agosto. Insieme a loro venne mandato “al confino” anche il piovano di Montemagno, messer Jacopo Bottingori, la cui colpa era di aver difeso alcuni compaesani di fede ghibellina. Oltre a questi vennero confinati altre persone del luogo, che avevano sulla loro testa una taglia di 100 Fiorini. Però tra i filo-Ghibellini, c’era anche chi alzava la testa; è il caso del tizzanese Lenzo di Paulo Pugianelli che raggiunse San Marcello e riuscì a far fuggire diversi prigionieri. Molti di questi evasi, siccome avevano una taglia sulla testa, anziché tornare a casa, rimasero alla macchia formando bande armate. Queste, a quanto riporta Luca di Bartolomeo, erano spesso incontrollate e davano luogo a scorribande e delitti, sia nei confronti della popolazione che fra di loro. Era una sorta di brigantaggio “ante litteram”. Si parla ad esempio, della «brigata del Sere», particolarmente efferata che non mancò di derubare e picchiare un anziano, oltre a uccidere un altro uomo a Montemagno, tale Lomo. Quindi con l’andare del tempo anche i filo-Guelfi iniziarono ad avere paura. Ser Luca annota che una cinquantina di uomini di parte Cancellieri, provenienti da Tizzana, Montemagno e «Maxiano», cioè Masiano, si rifugiarono «presso la Forba», in località Poggetto, per paura di essere uccisi o derubati… o magari entrambe le cose.

Questi fatti fin qui riportati, sono solo una minima parte delle cronache; basti pensare che in quel lontano 1399, si registrano solo a Pistoia circa una trentina di persone decapitate, a cui si sommavano i morti in prigione, quelli uccisi in strada «et altri bruciati».

Nei suoi resoconti ser Luca di Bartolomeo Dominici, riporta anche che nel 1399 «padrona nefasta fu la peste», provocando 2301 morti accertati «tra grandi e piccini» solo nella città di Pistoia. Questo numero l’autore l’ottenne grazie ai resoconti delle cappelle e degli “spedali” «i quali non si dedona per scritti per non sgomentare le genti». Bisogna qui considerare che l’elenco fa riferimento solo ai morti accertati, escludendo quindi i cadaveri finiti nelle fosse comuni. Anche coloro che morirono nelle campagne non furono conteggiati; perciò è plausibile pensare che alla fine i deceduti siano stati oltre 5000, come fra l’altro ipotizza anche il nostro «notaro».

E’ curioso che per combattere la maledizione divina della peste, gruppi di persone organizzassero lunghe processioni, con la croce della propria parrocchia, dirette verso il duomo di Pistoia, o addirittura quello di Firenze. Erano comitive di fedeli vestiti di bianco che accompagnavano il loro pellegrinaggio con preghiere e cantilene. 

Ser Luca ci comunica infine che a fine agosto, la peste, così come era arrivata, finì. Per festeggiare l’evento: «vi fu in città un giorno di grande digiuno et non si mangiò et non si tagliò carne et si festeggiò con canti e laudi al signore».

Per la realizzazione di questo articolo, si ringrazia: Samuele Maffucci e tutto lo staff della biblioteca comunale Forteguerriana di Pistoia.

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