di Carlo Rossetti
giugno 2024
Dopo gli anni bui del Covid, finalmente gli ambulatori medici sono tornati regolarmente a disposizione dei pazienti, che possono quindi andare dal proprio dottore di famiglia per farsi visitare o per farsi “segnare” le medicine, come si faceva normalmente prima del 2020.
Può così capitare di entrare in una sala d’aspetto e vedere tanti pazienti, ciascuno con un atteggiamento più o meno riservato se non addirittura silenzioso. Il fatto che abbiano o meno voglia di parlare può dipendere sia dal carattere individuale della persona, che dal tipo di patologia da cui uno è afflitto. Alcuni, visibilmente preoccupati e in ansia per quella che può essere la diagnosi del medico, stanno zitti da una parte, tutt’al più tentano di distrarsi leggendo un giornale. Ma è pur vero che, in un paese dove si conoscono un po’ tutti, è facile che da un momento all’altro, fra due persone possa avere inizio una conversazione, tanto per ingannare l’attesa. A quel punto può accadere un dialogo surreale fra due conoscenti, che inizia più o meno in questo modo: «O te che ci fai qui?», che non potrebbe che avere una risposta: «Niente, sono venuto qui per passare un’ora!» Come se nella presenza in quel luogo dell’interlocutore, non vi fosse, implicita, inequivocabile, la risposta. Esauriti i convenevoli, l’argomento si sposta, quasi sempre, sulle malattie. Quello che ha preso la parola, racconta che è lì perché da parecchio tempo una spalla non dà pace. Di giorno e di notte un dolore, a volte lancinante, gli impedisce di dormire. Ma appena tenta di dare ulteriori informazioni, per esempio sulle terapie adottate e su ciò che gli ha detto il dottore, l’altro che a stento è stato zitto fino a quel momento, ribatte: «O io? Tu sapessi io! Ho questo ginocchio che non mi tiene più, senza contare l’anca che a quanto mi dice il dottore dovrebbe essere operata, ma chi ne ha voglia a quest’età di andare sotto i ferri? E poi ho passato un inverno da bestia, con un’influenza che mi ha lasciato tosse e catarro».
In quel momento inizia una vera e propria gara per stabilire chi dei due ha più malanni. Ognuno non vuole essere da meno dell’altro. Anche se, in fin dei conti, essere malato non è una bella cosa da ostentare, nessuno vuole sentirsi inferiore per dimostrare che quanti guai ha lui non li ha nessuno. «Sì perché» replica l’altro «io non ti ho detto che due mesi fa sono stato all’ospedale e credi me l’ero vista brutta. Ero tutto gonfiato come un pallone. I medici non sapevano che cosa avessi: me ne hanno fatte “di tutti i colori, rivoltato come un calzino”, prima di accorgersi che mi aveva fatto male un cibo». «Se è per codesto allora io» dice l’altro «ti potrei raccontare di quando»… In men che non si dica il confronto assume la fisionomia di un vero e proprio duello. E se dopo avere passato in rassegna tutti i possibili guai, uno si rende conto di essere al di sotto dell’altro, tira in ballo la moglie di cui accenna alla pressione alta, al fegato in cattive condizioni e al diabete che l’affligge, patologia che, il più delle volte, viene declinato al femminile, diventando “la diabete”. Ed ecco che l’altro, accorgendosi di perdere terreno, ricorre al proprio asso nella manica chiamando in causa la suocera, di cui racconta che ogni tanto «non dice il vero con la testa», che è piena di “doli”, che sovente se la fa addosso e che ha un prolasso così evidente che può essere, dalla vita in giù, scambiata per il marito. Così i bollettini medici dei nostri logorroici pazienti, si intrecciano nel silenzio della nostra sala d’attesa.
Oggi come oggi poi, a dare man forte a persone come queste, c’è anche il cosiddetto “Dottor Google” che permette a ciascuno di arricchire oltre misura la rosa delle proprie disgrazie. Infatti basta cercare in rete la risposta a qualche sintomo, e subito ci viene proposta una sfilza di ipotesi patologiche, molte delle quali comprendono diagnosi infauste o altamente improbabili. Al riguardo ci tornano il mente alcuni meme sferzanti che circolano sul web, tipo: “Oggi mi sentivo poco bene e ho cercato i sintomi su internet… Secondo Google sono morto l’anno scorso”. Oppure quello che ritrae un uomo di una certa età davanti al computer, la cui didascalia dice: “Avevo un leggero mal di schiena e così ho deciso di controllare su Google i sintomi. Sono incinta”.
Tornando ai nostri ipotetici “pugili”, un’interruzione può provenire solo dall’arrivo di un nuovo paziente che pronuncia il consueto e consolidato «Chi è l’ultimo?» La domanda del nuovo arrivato serve ad avere un riferimento per l’ordine di entrata dal medico, che fa parte ormai del lessico ambulatoriale, come fosse una norma dettata dal Ministero della Sanità. Questo può decretare una pausa, come sul ring fra un round e l’altro, ma di lì a poco il dialogo riprende quasi sempre con altrettanto vigore. Sempre in sala d’attesa si può sentire sovente discussioni che riguardano i medici, dei quali si lamentano la scarsa attenzione e partecipazione di alcuni, nei confronti del paziente. In genere i giudizi sono complessivamente negativi.
Noi invece vogliamo portare alla vostra attenzione uno dei molti medici completamente all’opposto: la dottoressa Edy Biancalani, specializzata in ortopedia. In ogni sua visita, lei accoglie i pazienti con un sorriso, che anticipa la sua gentilezza. Il tono pacato e il garbo sono i suoi biglietti da visita. Durante ogni colloquio che abbiamo avuto con lei, ci siamo sempre resi conto delle sue capacità e della sua professionalità, ma soprattutto della sua attenzione al nostro caso. Numerose sono le domande che lei rivolge ad ogni paziente e altrettante le risposte che dà circa le patologie da curare. Lo scambio di empatia agevola il rapporto che ha un riflesso positivo anche sulla cura. Così sembra di non essere più a una visita medica, ma a un incontro informale. Ripensando alle lamentele che si sentono spesso in sala d’attesa circa la scarsa partecipazione umana di certi medici, siamo convinti che sia sbagliato generalizzare e la dottoressa Biancalani ne è una piacevole riprova.