Francesco Colzi: Luminare di fama europea

Francesco Colzi: Luminare di fama europea

di Marco Bagnoli

giugno 2011

Siamo sempre da queste parti a fare due passi e come sempre ci viene incontro un personaggio del passato, tanto più grande, quanto più dimenticato. Francesco Colzi nacque a Monsummano il 15 febbraio del 1855, quando ancora l’Italia non c’era. Francesco frequenta il ginnasio a Pistoia per poi spostarsi a Pisa, per gli studi liceali: è qui che decide la strada sulla quale incamminarsi, quella della medicina. Ottenuta la laurea inizia per lui un intenso periodo di perfezionamento, intanto a Firenze e poi presso numerose cliniche a Parigi, Vienna, Berlino, Lipsia e Londra. È bene tener presente che all’epoca c’erano ancora più calessi che vagoni. Rientrato a Firenze, diventa assistente ed allievo prediletto del primario di chirurgia all’Ospedale Santa Maria Nuova; poi è a Modena, Professore Straordinario di Clinica chirurgica e infine di nuovo a Firenze, direttore della Clinica generale chirurgica, degno erede del suo maestro per merito riconosciuto. Pubblica diversi lavori di notevole interesse nel campo medico, tra cui“Contributo di Clinica operativa”, del 1891, mentre parecchio materiale inedito finirà irrimediabilmente perduto. Francesco Colzi giunge a far parte della nostra storia di qua per motivi tutt’altro che scientifici o accademici, ma non per questo meno importanti: la villa lungo la via di Pozzo nella sua tenuta di famiglia era il necessario rifugio rigeneratore dalle fatiche della sua missione. E proprio a Tizzana lo ricorderanno a lungo – e lo ricordano ancora oggi – per la sua statura umana e intellettuale, certo, ma anche per il modo inaspettato ed assurdo in cui è stato strappato all’affetto di così tanta gente.

Tizzana era la sua seconda patria, culla per il riposo e luogo ideale per il suo svago prediletto, la caccia. Il 25 marzo 1903 Francesco ha 48 anni, la barba ancora nera e il fido calibro dodici sotto braccio. È un fucile inglese caricato con polvere Walrode e piombo temperato numero sette. Alle Cascine si stanno svolgendo le consuete gare mensili di tiro al volo, è una bellissima giornata. Nonostante i cento otto anni trascorsi, la ricostruzione dei momenti che seguiranno è una solida catena di vividi fotogrammi.

È il 1903 e lo leggiamo su La Nazione e sul Giornale d’Italia, che nel frattempo è Unita e Giolittiana; un cronista del Corriere Italiano era addirittura sul posto, testimone diretto del fatto. Il fatto. Il Dottor Colzi prende posto sulla pedana di tiro, è uno dei partecipanti di questa gara ad eliminazione e, con feroce ironia, adesso è il suo turno. Ha il dito sul grilletto, pronto a portarsi il fucile alla spalla per mirare e fare fuoco. Al comando pronti per lo sparo, però, il piccione predestinato non esce dalla sua cassetta – e almeno per oggi la farà franca. È una bella giornata, il sole è caldo e anche se la preda non è ambita con la sportività delle sue battute per Tizzana, Francesco, adesso più che mai, è pronto a fare fuoco. Anche troppo, forse. Il grilletto è leggero, o meglio, sensibile – è uno strumento raffinato – tutto questo calore si fa di colpo meno piacevole. Il dito scivola e parte uno sparo. Il rinculo della doppietta è gagliardo, sfugge di mano, tocca terra dalla parte del calcio – il Dottore cerca di riafferrarla al volo per la sommità delle canne. Parte il secondo colpo. La scarica di piombo rovente lo coglie in pieno all’ascella destra. Francesco si sente mancare, accorrono tutti. Lui chiede una corda, uno straccio, qualunque cosa permetta di arrestare il deflusso di sangue dall’arteria principale del braccio. Ci sono due dei suoi allievi di medicina, un conte e ben tre marchesi. Viene adagiato su di un sofà, ringraziando Meucci si può telefonare, arrivano tre medici: giudicano grave la situazione, immediato il trasporto in ospedale.

Arriva il carro lettiga, guardiamo l’orologio, sono le quattro e un quarto, è passata mezz’ora dal momento dell’incidente – “Orribile disgrazia al tiro al piccione”, scriverà poi La Nazione. Le persone si affollano sulla porta d’ingresso del club, Francesco chiede che gli si copra il volto, non vuol farsi vedere. Lo accompagnano in diversi, il Marchese Ridolfi, il velocipedista sig. Pontecchi, il collega Dottor Guarnieri, l’avvocato Lumachi. Arrivano all’ospedale. Il suo ospedale, quel Santa Maria Nuova che per un attimo resta congelato in un brivido d’angoscia e subito si mette d’impegno attorno alla sua fasciatura provvisoria.

Francesco si tocca il braccio ferito: <<E’ inutile che m’illudiate, m’accorgo da me che è inevitabile l’amputazione del braccio>>. I colleghi che affollano la sala del pronto soccorso non si pronunciano sulla gravità della ferita, si limitano a disinfettarla. L’osso del braccio è danneggiato pesantemente. La notizia dell’accaduto comincia a passare, alcuni amici avvisano i parenti, giungono il fratello Alessandro e suo cugino, l’avvocato Brunetti. Si viene a sapere anche in città, ecco il sindaco Berti e il deputato avv. Meroli. Finalmente ci dicono qualcosa. L’arteria omerale è lesa gravemente, non è perduta ancora la speranza di poter evitare l’amputazione, specialmente se si potrà ristabilire la circolazione del sangue. E’ stato chiamato telegraficamente e giungerà domattina alle 6, l’illustre professor Bassini dell’Università di Padova. Fino a tarda sera è tutto un via vai di persone che domandano del Dottor Colzi, aristocratici e popolani; nel vestibolo c’è un tavolino e sopra un registro che in breve si riempie di firme. Il padre di Francesco arriva in treno da Monsummano, entra in ospedale alle nove e subito lo prende un mancamento. A questo punto si succedono rapidi uno dietro l’altro i consulti e i bollettini medici dei colleghi.

Ferita d’arma da fuoco alla regione interna del braccio destro interessante le parti molli, i vasi e l’osso. Undici giorni di situazione grave, condizioni soddisfacenti, notte tranquilla, nessuna reazione febbrile, speranza per l’avvenire, notte agitata, stamani assai calmo, lieve movimento febbrile, le condizioni generali soddisfacenti lasciano speranza, discrete, condizioni locali immutate, notte tranquilla, rialzo termometrico, il malato è calmo, s’iniziano a scopo precauzionale i trattamenti antitetano, purtroppo nessun miglioramento, stasera temperatura quasi normale, le condizioni dell’arto vanno notevolmente peggiorando, si è dovuta eseguire l’asportazione dell’arto al livello della frattura, notte sufficientemente calma, temperatura normale, regolari medicazioni locali, aggravamento della fenomenologia tetanica, nessun miglioramento, riconfermata la presenza di bacilli del tetano, energica prosecuzione della sieroterapia, è comparsa la febbre, le condizioni del malato sono alquanto peggiorate e vanno ogni ora peggiorando in modo allarmante. Undici giorni fino alle sei del giorno 4 aprile: un periodo di convulsioni tetaniche molto frequenti ed intense, seguite da un crescente torpore.

Alle due del pomeriggio il respiro si fa più difficile e Francesco Colzi entra in agonia. Alle tre è preso da una serie di contrazioni spasmodiche e spira. Il 6 aprile il feretro di Francesco attraversa Firenze: centinaia di persone, autorità civili, militari, personaggi illustri, aristocratici e tanta povera gente. Innumerevoli i messaggi di cordoglio; Alberto, il fratello ingegnere, apre il telegramma di Giacomo Puccini, “al dolore mondiale si associa animo mio straziato grande sciagura”. Il 31 luglio 1904 viene inaugurato il monumento eretto in suo onore a Pieve a Nievole. Il 9 ottobre del 1910 è la sua seconda patria, Tizzana, a raccogliersi in ricordo del compianto Francesco; molte persone arrivano dai paesi vicini, da Poggio a Caiano, da Quarrata, Carmignano e Pistoia. I balconi delle abitazioni sono imbandierate, pendono drappi di vari colori; le candele dei lumi alla veneziana concedono il massimo di luce che si può. Si inaugura il monumento in piazza della chiesa, un busto marmoreo opera di Umberto Bacci da Serravezza: è il Professor Francesco Colzi, la sua folta barba, la sua profonda calma. I serpenti di Esculapio si contorcono nella pietra con sinuosa fissità. La base perderà poi la sua elegante ringhiera in ferro battuto, oltre ai caratteri in bronzo; il marmo reca inciso “A Francesco Colzi – Tizzana – 1910”. A seguire gli sarà intitolato il dopolavoro, centro di vitale aggregazione fino al 1935, mentre a Catena una strada porta oggi il suo nome.

Per la realizzazione di questo articolo e per le foto, si ringrazia lo staff del sito www.tizzana.net: Francesco Cammisa (webmaster), Angelo Cammisa (ideatore del sito) e Alberto Bruschi (collaboratore). 

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