Gli “alieni” della Piana

Gli “alieni” della Piana

di David Colzi

giugno 2021

A dispetto del termine “specie aliena”, qui non parliamo di un argomento leggero che riguarda avvistamenti di UFO o X-Files, perché gli alieni di cui parliamo sono animali e piante che vivono già intorno a noi e che, anno dopo anno, stanno modificando radicalmente le poche aree verdi del nostro centro urbano e la loro biodiversità, spesso ultimo rifugio della fauna e della flora autoctona. Questi “ospiti inquietanti” spopolano soprattutto perché viviamo in una aree verdi, dove persone e merci viaggiano da un capo all’altro del globo; a questo si aggiunge poi la leggerezza con la quale importiamo animali e piante nel nostro Paese, ignorandone le conseguenze.

A farci da guida in questo mondo c’è il dottor Massimiliano Petrolo, naturalista e guida ambientale escursionistica presso l’Ecoistituto delle Cerbaie, che ci spiega subito che per “specie aliena” si intende tutta la flora e la fauna che non appartiene ai nostri ecosistemi e alle sue catene alimentari. «Già parlare di equilibrio in un’area fortemente antropizzata qual è la nostra Piana, non è cosa da poco» precisa subito Petrolo «anche perché il primo “alieno” che nel tempo si è tirato fuori dalle catene alimentari naturali, è proprio l’uomo. Se poi aggiungiamo altri ospiti, il disastro è dietro l’angolo».

Dalle nostre parti il più famoso è certamente il Gambero rosso della Louisiana, che a causa della sua voracità si è meritato il soprannome di “Gambero killer”. In Italia fu importato per scopi alimentari, ma poi è sfuggito al controllo e ora sta gozzovigliando nei nostri fiumi e nelle aree umide, complice il clima mite che ne favorisce la riproduzione. «Fondamentale per l’invasione di queste specie nuove è che qui non hanno predatori, quindi si collocano subito al vertice della catena alimentare» dice Petrolo. 

Anche la Nutria, senza antagonisti naturali, domina; questa fu importata per allevarla al fine di ottenere la pelliccia e anch’essa è fuggita dagli allevamenti. Alcuni ricorderanno il termine, “pelliccia di castorino”; ecco quello era pelo di Nutria. Si tratta di un roditore che crea veri disastri nel territorio perché, oltre ad essere vorace nei confronti delle piante, scava delle tane che rendono più fragili gli argini dei fiumi.

Capita poi che una specie diversa, ma simile a quella autoctona, arrivi in un luogo e prenda il sopravvento, facendo estinguere quella originaria. Caso emblematico sono le tartarughe d’acqua “dalle orecchie rosse” e “dalle orecchie gialle”, che ormai hanno completamente soppiantato la nostra “Testuggine palustre europea”, che oggi vive solo in poche zone interne e in alcune lagune costiere. In questo caso i due alieni hanno vinto perché più adattabili. Per capire di cosa parliamo, basta fare un giro al Parco Pertini di Agliana e notare quanto sia grande la popolazione di questi rettili. «Qui affrontiamo un altro problema» afferma Petrolo «e cioè quello dell’abbandono, o presunta liberazione, degli animali tenuti in cattività. Perché è bene sapere che queste nuove tartarughine, sono state immesse nel nostro territorio dai privati che, quando le hanno acquistate o vinte al Luna Park, ignoravano che nel tempo avrebbero più che triplicato il loro volume»

Però non è detto che ci sia il dolo. 

«Vero. Si tratta spesso di mancate informazioni e scarsa cultura ambientale. In tanti pensano che sia bello mettere in libertà un animale che non si può più tenere, ma non è così. Anche un semplice coniglietto domestico non può essere abbandonato in un bosco, perché potrebbe essere portatore di malattie per i suoi simili che noi ignoriamo. Ricordiamoci infine che questi comportamenti sono illegali»

Parlando con Petrolo, scopriamo che persino i pesciolini rossi, se liberati, possono proliferare; basta fare una passeggiata su un argine qualsiasi dei nostri fiumi per vederne di discrete dimensioni. Insomma, ci vuole davvero poco per rovinare un ecosistema, e anche il solo spostare una specie all’interno della stessa regione può provocare un inquinamento genetico.

Qual è l’alieno che non ti aspetteresti mai? 

«E’ un albero, la “Robinia pseudoacacia” chiamato comunemente Cascia o Robinia e riconoscibilissimo in quanto ha quegli splendidi grappoli di fiori bianchi e profumati; la collina montalese e il Montalbano ne sono pieni. Pensa che questa pianta fu introdotta dal Corpo Forestale dello Stato negli anni ‘60, per creare rapidamente bosco e adesso sostituisce gran parte delle nostre specie quercine proprio perché cresce velocemente. Ormai ne siamo talmente invasi, da considerarla naturalizzata».

L’alieno a prima vista più innocuo?

«La “Coccinella arlecchino”, una specie asiatica; nonostante l’aspetto grazioso, sta soppiantando brutalmente quella nostrana, in quanto ne mangia le larve». 

E poi c’è la famigerata mosca dell’ulivo… 

«Attenzione: qui gli “alieni” c’entrano, ma fino ad un certo punto. Infatti questa è sempre esistita da noi e quando il clima è favorevole, si moltiplica e rovina interi raccolti di olive; il problema è che da qualche anno il riscaldamento climatico ne favorisce la riproduzione. Poi, a quella nostrana se ne sono aggiunte altre, queste sì, importate. Ecco servita la tempesta perfetta!»

In questa situazione, quanto incide il vivaismo? 

«Meno di quel che si pensi, perché le piante provenienti dall’estero sono in genere più controllate di qualsiasi altro prodotto e talvolta subiscono addirittura periodi di quarantena; quindi è più facile che un coleottero nocivo come il “Punteruolo rosso della palma”, che ormai prolifera nelle nostre aree verdi, sia arrivato sopra altri tipi di merce che non su albero, come sostengono alcuni».

Per salvaguardare quel che resta, Massimiliano Petrolo, assieme ad alcune istituzioni, porta avanti da anni progetti per rendere le casse di espansione della Piana attraenti per gli animali autoctoni o di migrazione, ripopolandole con piante locali al fine di ricreare oasi ambientali che ricordino le origini del nostro territorio; talvolta vengono addirittura prelevati gli alberi direttamente dai cantieri, prima che vengano tagliati. 

Quindi, stiamo davvero perdendo il nostro patrimonio naturalistico senza accorgercene?

«Pensiamo al già citato Parco Pertini: quando fu riconvertito a lago, per un breve periodo ritrovò un sua dimensione, venendo ricolonizzato persino dagli anfibi autoctoni. Da diverso tempo questo equilibrio si è spezzato e anche se continua ad essere un polmone verde, è completamente cambiato, ma noi passeggiando non ce ne accorgiamo. Questo succede molto spesso…» conclude Massimiliano Petrolo. 

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