Luigi Ventura – una vita dietro cassa e rullante

Luigi Ventura – una vita dietro cassa e rullante

di Marco Bagnoli

dicembre 2023

Luigi Ventura è un insegnante di batteria di lungo corso, uno che appena maggiorenne già insegnava. Ma la sua passione per la musica viene da lontano, quando ancora era bambino. Nessuno in famiglia aveva dimostrato particolari attitudini artistiche prima di lui; vuoi per i soliti casi della vita, vuoi perché la vita, oggi come allora, toccava di guadagnarsela lavorando, e i suoi questo facevano. 

Un giorno il babbo camionista riportò a casa un vecchio pianoforte, rimediato in un convento. E il piccolo Luigi ne fece una cosa sua. Si trattò di una relazione a prima vista piuttosto promettente, ma a dodici anni accade che un suo amico, che abitava nella stessa strada al Barba, avesse per caso un fratello maggiore. E che questo fratello suonasse la batteria. Aveva un gruppo questo ragazzo, e soprattutto accettò di buon grado di impartire a Luigi alcune saltuarie lezioni di batteria. Ed ecco come l’esistenza di Luigi acquisì la piega fortunata sulla quale naviga ancora oggi. Il passo successivo fu la decisione di interrompere gli studi, a quattordici anni, per andare a lavorare: per avere così tutte le sere libere di fare quello che voleva, come in una sorta di maggiore età anticipata. Inutile dire che a quel punto la maturità Luigi la raggiunse veramente prima del tempo. E con l’indipendenza economica potersi pagare lo studio della batteria, e quindi anche uno strumento adatto a iniziare come si deve. Dopo aver trovato un insegnante a Prato, visti i risultati, Luigi pensò di andare al conservatorio Cherubini di Firenze, dove si guadagnò il suo meritato diploma. Aveva anche un gruppo suo, naturalmente, e nella loro stanzina riusciva a ritirarsi per studiare, una risorsa quanto mai preziosa per la sua crescita musicale. 

Luigi diventa così un batterista professionista, facendo circa 220 concerti all’anno. Perché infatti, intorno alla fine degli anni Ottanta esisteva una vitalissima scena musicale: c’era ancora tutto il circuito delle orchestre che girava per l’Italia e fuori dall’Italia. E non solo quelle che suonavano il liscio, e che comunque suonavano sul serio: poteva capitare di eseguire brani da big band, o i grandi cantautori italiani. E magari, se suonavi in Versilia, potevi ritrovarti ad accompagnare personaggi come Gino Paoli o Franco Califano. Oggi, o meglio, da molti anni, tutto questo non esiste più. Ci sono ancora batteristi che tengono il tempo nelle orchestre di liscio, ma spesso il resto della musica si limita a delle basi e poco più. Non parliamo poi del circuito dei locali nei quali si fa della musica dal vivo. Cioè sì, parliamone: sono sempre meno, giustamente sempre più esigenti, e magari sempre più favorevoli ad accogliere una musica fotocopia degli originali. Tutto perfettamente legittimo, certo, ma in questo modo il sottobosco dei giovani alle prime armi resta tagliato fuori. Ma questo non è certo il caso di Luigi: a diciott’anni già insegnava, e lavorava presso uno studio di registrazione di Firenze. 

E oggi è impegnato in un suo progetto, l’American Dobro Session, incentrato sul sound del Sud degli Stati Uniti. Dal 2003 Luigi è presidente di una scuola di musica, danza, sport e recitazione a Bottegone, la Jammin Academy Musica Vera ASD, affiancato dalla moglie Lucia Coppini, soprano, che l’ha fondata. Qui le nuove leve vengono coltivate dalla tenera età, e si vedono emergere ragazzini prodigiosi e profondamente musicali già intorno ai dieci anni. Perché per loro è tutto un gioco, dice Luigi. Qualcuno è molto promettente, fa le domande giuste, lavora nel modo giusto e ascolta la musica giusta. Poi certo, la musica giusta è quella che ti piace, ma anche quella che ti fa crescere un po’ alla volta. E secondo Luigi, stiamo assistendo a una rinascita delle band, già da qualche anno, sulla scia di quello che si ascoltava quando lui era ancora un bambino, e forse anche prima. Del resto chi c’era in classifica solo l’altro giorno? I Beatles e i Rolling Stones. E allora forse tanto lavoro dietro a un metronomo non è stato speso invano: valeva davvero la pena diventare grandi prima, se poi grandi si rimane anche dopo. 

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