di Serena Michelozzi
dicembre 2020
«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli», ha affermato Umberto Eco.
Come non essere d’accordo?! Oggi basta aprire la Home di Facebook (o di qualsiasi altro social) e sbirciare su qualsiasi gruppo, per leggere di tutto e di più. Il problema è che fra questo “di tutto e di più”, ormai – ahimè –, trovare dei contenuti sociali/culturali interessanti (e intelligenti!) in quello che scrive la gente è diventato praticamente impossibile. Per non parlare degli errori grammaticali… Ma v’è di più. Molti non si limitano a scrivere sciocchezze, ma nel commentare post o personaggi non graditi si lasciano andare a offese ed insulti di ogni genere, per puro sfogo o solo per sentirsi più forti (facile dietro a uno schermo!) Trattasi dei c.d. “haters” o “leoni da tastiera”. In altre parole si sta assistendo a vere e proprie forme patologiche di utilizzo dei social network, che consistono nella tendenza sempre più diffusa a parlar male di tutto e tutti, o diffondere on line immagini denigratorie.
Tale condotta molto spesso va ad integrare il reato di diffamazione, previsto dall’art. 595 del codice penale (in particolare l’ipotesi aggravata prevista dal terzo comma, per essere stata commessa “con qualsiasi forma di pubblicità”), in quanto postare un commento offensivo (su una bacheca di un social network e azioni similari) significa dare al suddetto messaggio una diffusione che potenzialmente ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone. La norma è finalizzata a tutelare i valori più importanti della persona: dignità, onore e reputazione. I tratti distintivi del reato sono: l’offesa all’altrui reputazione, l’assenza del soggetto leso, la comunicazione con più persone. La diffamazione sui social network si può perfezionare anche a mezzo chat o sistemi di messaggistica istantanea, a meno che l’offesa non sia inviata attraverso mail o messaggi diretti a un unico destinatario: in questo caso, non si potrà avere diffamazione ma al massimo ingiuria, oramai depenalizzata, che si configura come illecito civile.
In estrema sintesi, secondo il codice penale, la persona offesa da una diffamazione avvenuta on line può proporre una denuncia-querela con cui chiede al giudice penale di perseguire il presunto colpevole, anche con l’obiettivo di far valere la propria pretesa risarcitoria nel processo penale. Un’alternativa al procedimento penale è rappresentata dall’azione diretta della vittima nei confronti dell’offensore, citandolo innanzi al giudice civile per chiederne la condanna al risarcimento del danno patrimoniale ai sensi dell’art. 2043 c.c. e di quello non patrimoniale ex art. 2059 c.c., esperito previamente il tentativo di mediazione obbligatoria in virtù del D.lgs n. 28/2010.
I social network ci danno libertà di espressione e di pensiero e, se usati con criterio, possono essere veicolo di crescita reciproca, arricchimento e confronto costruttivo. Usiamoli bene e soprattutto non come mezzo per scaricare le frustrazioni verso il prossimo con violenza verbale. «La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità», concluderebbe il grande Eco.