Don Dario Flori – seconda parte

Don Dario Flori – seconda parte

di Marco Bagnoli

giugno 2008

Nel 1906 Sbarra pubblica il primo dei suoi successi editoriali, La Zanzara, una rivistina d’ispirazione cattolica fortemente voluta per contrastare il diffondersi delle pubblicazioni dei socialisti e dei liberali. Sbarra vi concentra quella che sarà l’essenza di tutto il so lavoro successivo; si rivolge ai lavoratori della piana pistoiese, con un linguaggio discorsivo ed una trattazione pungente, fino a picchi di una violenza verbale a tutt’oggi sensibili. Ricorre spesso alla parlata locale, soprattutto nelle scenette popolari tra il contadino e il (pre) potente di turno. Nelle sue pagine gli avversari politici si meritano i nomignoli di peppi, pappatrioti, caporioni, mangiapreti; i monarchici del circolo di Tizzana non stanno a buscarle e dalla loro rivista si preoccupano di “tenere a dovere quello schifoso e malefico insetto della Zanzara… forma diabolica assunta da un fariseo, che con arte infernale tradisce il ministero apostolico”.

Dice che ai liberali vanno bene solo i preti che “tengono sotto” il popolo per assicurare loro i voti delle elezioni, mentre osteggiano quei “pretacci” che lottano perché il popolo veda riconosciuti i suoi diritti. I liberali sono stupidi perché non credono in Dio e la loro cultura falsa gli fa bere l’ultima superstizione. I socialisti trascurano l’aspetto spirituale con cui riscattare il popolo; addossa il loro successo non tanto ai “soliti vampiri” liberali, quanto piuttosto all’inerzia di quei cattolici che non fanno niente per cambiare la condizione di asservimento in cui il popolo si ritrova. La sua opionione è fin troppo chiara: “non le parole ma le opere sono il termometro della fede (…) quando tu vai gabbando il prossimo, quando trattieni la roba degli altri, quando non dai all’operaio, al contadino, tutto il prodotto netto del suo lavoro, quando dal tuo capitale pretendi un frutto esagerato, quando abbandoni la causa dei deboli e ti metti dalla parte del potente, quando dai il tuo voto politico e amministrativo per chi rappresenta lo sfruttamento e il succhionismo, quando maltratti il fratello, quando ti riveli intollerabile, quando per salire in alto eserciti la professione di delatore volgare, di spia, di sbirro, quando neghi ai figli tuoi, ai tuoi fratelli il pane della mente e del corpo, quando rumini pensieri di vendetta, quando nutri rancore ed odio, pensa che le opere tue fanno a pugni col cristianesimo, pensa che non sei AFFATTO cristiano”.

È il sindaco in persona a mettere fine a tutte le polemiche suscitate chiudendo il giornale dopo pochi mesi. Il 1906 è anche l’anno nel quale Sbarra vede la propria dedizione e il proprio talento riconosciuti nelle più “alte sfere”. Diviene infatti redattore di una serie di periodici a pubblicazione nazionale, che lo vedono spostarsi prima a Firenze, poi a Parma; la sua ultima residenza sarà quindi Roma. Tuttavia, negli anni in cui nasce il Partito Popolare, don Flori decide di restare a lavorare dietro le quinte, come semplice militante dell’Azione Cattolica. Continua la sua attività di redattore e nel 1912 s’inventa La Chitarra, una piccola rivista di canti umoristici e polemici, di cui egli stesso era autore; Sbarra possedeva infatti i rudimenti della musica ed uno spontaneo senso compositivo. L’inno ufficiale della Democrazia Cristiana porta la sua firma, quel Biancofiore cui pure Giulio Andreotti era così affezionato. Fonda inoltre il Corrierino, il settimanale a colori pensato per i ragazzi. Il Fascismo vedrà in lui un avversario e sarà proprio l’avvento del regime a causare l’indebolimento di tutto l’apparato movimentista cattolico. Ingiustamente fin qui considerato l’ultima ruota del carro, Sbarra finisce decisamente in povertà.

Muore a Firenze il giorno di Pasqua; è il pomeriggio del 16 aprile, del 1933. Lo accompagnano i familiari, gli amici e una benedizione speciale del Papa. Due giorni dopo è tumulato a Pistoia. “…Mi son trovato sempre il solito e, quel che più conta, al solito posto. Io non guardo al vento che tira!”. Il Regime ne osteggia quindi il ricordo: a Vignole si nega l’autorizzazione ad apporre una lapide che lo ricorda (potrà essere affissa in chiesa, ma non sulla via); a Pistoia viene impedita la pubblicazione di un fascicolo che ne ricalchi la vicenda umana e spirituale. Nel novantesimo della nascita, un busto bronzeo lo ritrae nella sua Quarrata, opera del Cappelli. Vi sono riportate le parole del futuro segretario della DC. Le stesse che adornano la sua sepoltura nel cimitero di Santallemura, avvenuta nel 1976.

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