Cosa farai da grande?

Cosa farai da grande?

di Carlo Rossetti

marzo 2016

Se a un ragazzo di alcune generazioni fa, veniva domandato, “Cosa farai da grande?”, immancabilmente rispondeva: “Il poliziotto o l’aviatore”. La risposta di solito era sempre quella; mai professioni di qualsiasi altro settore erano indicate come possibile aspirazione. Non sappiamo la ragione di scelte così categoriche, ma crediamo trattarsi di due professioni che più di altre alimentavano la fantasia dei ragazzi che si influenzavano a vicenda. 

D’ora in poi le carriere citate non rientreranno nella rosa delle preferenze dei giovani, perché non c’è dubbio, che una professione che va per la maggiore oggi è quella dello chef, specialmente dopo che la televisione ha occupato i suoi canali con trasmissioni di cucina in ogni ora del giorno. Non si può negare che il cibo abbia un’importanza predominante per la nostra vita, perché occorre per vivere e perché mangiare è un grande piacere. Fa parte della nostra cultura e delle nostre tradizioni, ma veramente ci sembra esagerato l’imperversare di programmi sulla cucina ai quali dobbiamo assistere ogni giorno. Lo scopo maggiore ci sembra quello dello spettacolo, anziché il fatto di arricchire le conoscenze dello spettatore in fatto di alimentazione ed educarlo a un più corretto uso del cibo.

Si può cominciare dalla “Prova del cuoco” su Rai 1, in cui Antonella Clerici, saltellante da una parte all’altra dello studio, dove sono sistemate due cucine, dà i passaggi sui vari momenti della preparazione di ricette, che alcuni cuochi stanno realizzando. Su un altro lato Anna Moroni è intenta a confezionare un dolce e spiega dosi e modalità con voce querula da cartone animato. Ricette complicatissime, che si annunciano con nomi altisonanti e improbabili, che per il loro tasso calorico avrebbero bisogno di essere seguite da una ricetta medica per andare in aiuto all’organismo. Non c’è da stupirsi quindi se qualcuno annuncia la preparazione di “Basbane e gallinelle in carpione al savor”, perché difficilmente sono presentati piatti che fanno parte della nostra cucina semplice e quotidiana. Sopra i piani c’è un po’ di tutto: prosciutto, filetto di maiale, farina, olio, zucchine, besciamella, latte, cipolla, cumino, senape, curcuma e tanti altri impossibili ingredienti che verranno utilizzati per la ricetta e che, per la loro eterogeneità, non sembra debbano conciliare tra loro. Invece, con una destrezza e manualità proprie di un prestigiatore, i vari elementi vengono preparati, amalgamati e messi a cuocere. Tutto in venti minuti. Poco dopo, a cottura avvenuta, il cibo viene “impiattato”, come i cuochi amano dire, più attenti ai fornelli che alla lingua e presentato in una forma esteriore gradevole a una giuria che dovrà dare la sua preferenza.

Giudizio che arriva dopo l’assaggio del cibo, accompagnato dalla motivazione che tiene conto di molteplici aspetti che vanno dai sapori, ai dosaggi, alla cottura e ai vari equilibri tra ingredienti. Motivazione che la giuria esprime sfoggiando un campionario di termini tecnici, che facciano risaltare la propria competenza. E’ curioso notare come i cuochi quando cucinano e spiegano di volta in volta i vari momenti, ricorrano ripetutamente all’aggettivo possessivo “nostro”. «A questo punto mettiamo a cuocere i “nostri” involtini, quindi prendiamo la “nostra” pastella e vi aggiungiamo i ” nostri” broccoletti; ora facciamo mantecare il “nostro” impasto» e così via. L’uso di “nostro” nell’intenzione dei cuochi non ha il significato originario, cioè di cosa di proprietà perché da loro stessi acquistata, ma ha un significato diverso, che manifesta un sentimento più profondo di appartenenza.

Dirottando su un altro canale, tanto per passare il tempo, ci imbattiamo in un altro programma dove, guarda caso, si parla di cucina: è “MasterChef”. Di fronte all’impenetrabile Carlo Cracco e ai soliti Bruno Barbieri e Joe Bastianich, che fanno parte del Gotha della ristorazione, ci sono alcuni aspiranti chef che hanno da poco finito di cucinare il loro piatto e sono in attesa del verdetto, immobili con il volto tirato. Gli esaminatori, seri anche loro, investiti del ruolo, aspettano un po’ a chiamare i concorrenti, per creare un po’ di suspense. 

Quindi chiamano il primo, il quale fa un passo avanti e si mette all’ascolto. Uno degli esaminatori, dopo aver detto che il piatto è ben strutturato ma che manca di quell’originalità che è necessaria a farne una ricetta ricercata, ammette che gli ingredienti sono tutti ben amalgamati e perciò la sua risposta è positiva. Il secondo maestro che non trova molto equilibrio tra fragranza e sapore e un controllato uso del sale che compromette il risultato, risponde “No”. Successivamente il terzo chef, il quale analizza la ricetta con una serie di considerazioni che mettono in risalto il suo grado di specializzazione, tanto per non essere meno degli altri, vuol dare fiducia al ragazzo e dice “Sì”. Lo stesso avviene per tutti per tutti gli altri concorrenti. Possiamo spostarci su un altro canale ma la musica non cambia. Anche qui qualcuno è alla prese con i fornelli e sta dando la sua personale versione della spigola con salsa di mandorle su un letto di spinaci sbollentati. Può sembrare impossibile, ma dopo un’ora di immagini di piatti succulenti, dopo un primo desiderio di assaggio, avvertiamo un senso di sazietà.

A questo punto è chiaro quanto sia grande l’interesse dei giovani per la cucina, nella quale intravedono un futuro pieno di successi e il raggiungimento di una condizione economica soddisfacente. Aggiungiamo che da tempo, anche gli uomini si sono messi a cucinare per sollevare le donne da un impegno quotidiano e, diciamolo pure, perché è di moda. Allora si capisce quanto il settore faccia proseliti anche tra i giovani, come risulta dall’aumento delle iscrizioni alla scuola alberghiera. Perciò, se chiedessimo oggi a dei ragazzi cosa vorranno fare da grandi, al di là di qualcuno che spera di diventare un calciatore, gli altri siamo sicuri risponderanno: lo chef.

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