Giannetto Rossetti

Giannetto Rossetti

di Carlo Rossetti

marzo 2014

Giannetto Rossetti, per l’anagrafe Nerio, era mio cugino; perciò parlarne mi fa molto piacere e mi dà l’occasione per ritrovare momenti della mia infanzia. Gli ero molto affezionato perché trovavo in lui, più grande di me di dodici anni, la persona che si prendeva cura di me, che mi faceva divertire e pronta a esaudire tutti i miei piccoli capricci. Lavorava nella bottega di mio padre come apprendista calzolaio e per questo avevo modo di frequentarlo quotidianamente, fino a quando non andò militare. Voglio ricordare che prestò servizio nel Reggimento Lancieri di Montebello, di cui era comandante il conte Venceslao Spalletti, al quale rimase legato da una vera e duratura amicizia. Alla fine della guerra rientrò nella bottega di mio padre, insieme ad altri operai e diventò un ottimo artigiano, una mano veramente esperta la sua, che gli consentiva di costruire le scarpe dall’A alla Z. Un mestiere che avrebbe continuato a fare, diventando negli ultimi periodi lavorativi, direttore e modellista di un grande calzaturificio.Una volta in pensione dette vita ad un negozio di articoli di caccia e pesca, l’attuale “Armeria Rossetti”, uno dei più importanti della zona, condotto ora dal figlio Umberto. Quelli citati sono i ricordi più lontani nel tempo che rimangono dentro indelebili, ma tante sono le memorie che potrei raccontare.

Tralasciando i ricordi che riguardano anche me, voglio sottolineare invece il suo carattere allegro, la sua spiccata vena umoristica, citando alcuni episodi. Era il tempo di guerra e dopo l’8 settembre, si era rifugiato a Montorio per non essere catturato dai tedeschi. Se ne stava rintanato insieme ad altri in un tunnel ricavato sotto una concimaia, uscendo solo la notte di quando in quando. Una volta si recò in casa di amici per procurare il cibo a tutti, ma a causa di un insolito andirivieni di tedeschi nella zona, dovette trattenersi lì, senza rientrare nel nascondiglio. Rimanendovi a lungo però c’era il rischio di farsi sorprendere dai tedeschi per le irruzioni che facevano nelle case e perciò decise di andarsene ricorrendo a uno stratagemma. Si vestì da donna con abiti che gli furono messi a disposizione nella casa; quindi labbra rosse, pezzuola in testa, scarpe con un po’ di tacco e appena accertato che non c’era presenza di tedeschi, uscì accompagnato da una ragazza di casa, perché tutto fosse più credibile. Siccome c’era poca strada da fare fino al rifugio, la cosa funzionò a meraviglia. Va detto che Giannetto, per i tratti del volto e per certe proporzioni del fisico, si adattava facilmente ad essere trasformato in una donna. Inoltre aveva l’attitudine per farlo. Una fotografia che gli fu fatta prima di uscire di casa, ora persa, ha testimoniato per lungo tempo il fatto. Dopo la liberazione, rientrati a Quarrata, Giannetto si è trovato nuovamente a dare vita ad un altro personaggio femminile.

Chi ha vissuto quegli anni ricorda come la popolazione accogliesse entusiasticamente gli alleati e con loro avesse contatti e anche rapporti di amicizia. Anche la mia casa cominciò a essere frequentata assiduamente da due militari, un americano e un sudafricano: si chiamavano Tommy e Taby. Così Giannetto, che aveva ripreso a lavorare da mio padre, ne era diventato amico.

Una sera alla Casa del Popolo, si dà un veglione in onore delle forze di liberazione. Non so a chi sia venuta l’idea, ma ricordo bene l’episodio. Giannetto si veste nuovamente da donna e accompagnato da Tommy e Taby, si reca al veglione. Come al solito non c’era nessuna approssimazione nel travestimento. Curati bene tutti i dettagli sul piano femminile era senz’altro attendibile. Un amore di ragazza. Arrivati in sala, “la ragazza”, fu subito presentata ad altri militari, fra cui c’erano anche degli ufficiali. Iniziarono le danze e Giannetto passò da un militare all’altro, finché non cadde fra le braccia di un capitano, che forte della sua autorità non voleva lasciarsi sfuggire un bocconcino così prelibato. Un ballo, due, un bicchiere di whisky, poi un altro, l’ufficiale comincia a manifestare un particolare interesse nei confronti della “ragazza”, la quale, dal canto suo, dimostra di essere abbastanza accondiscendente e di subire a sua volta l’attrattiva del capitano. Si lascia stringere, reclina languidamente la testa sulla spalla del militare, sospira al suo orecchio. Ed è a questo punto che la cosa prende una piega inaspettata. L’ufficiale, che intanto comincia a non avere più l’idee chiare, sia perché ha bevuto, sia perché ha gli ormoni in subbuglio, la invita fuori a fare una gita sulla camionetta. A questo punto la cosa si complica. Perciò subodorato il pericolo, i due amici che lo sorvegliano, intervengono e con qualche scusa riescono a togliere dalle braccia del loro superiore Giannetto, il quale cominciava già a preoccuparsi. Se il capitano fosse riuscito nell’intento, indubbiamente avrebbe cercato di approfondire la conoscenza ed eventuali sondaggi gli avrebbero creato una maggiore confusione nella testa già offuscata dall’alcool. Infatti non avrebbe potuto capacitarsi di come la ragazza avesse, a differenza di quelle da lui conosciute, elementi anatomici in eccesso.

Lo spazio non mi consente di raccontare ancora di lui e di altri episodi che lo videro protagonista, ma penso che quanto scritto fino ad ora, basti per farne un ritratto fedele. Credo inoltre si possa ricordare una persona che non c’è più con il sorriso, evitando di parlarne con tristezza. è questo che ho inteso fare, scrivendo di Giannetto.

 

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