“Ti fo una tamburata…”

“Ti fo una tamburata…”

di Massimo Cappelli

dicembre 2010

Prima di continuare col pezzo, voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno personalmente dimostrato di aver apprezzato ciò che ho scritto in “Concludendo” del numero passato, e vi assicuro che sono stati tanti. È piaciuto a tal punto che qualcuno mi ha espressamente chiesto << lo hai scritto veramente te?>>. Questo la dice lunga sulla mia reputazione di reporter. Sicuramente, il gradimento dell’articolo nasce dal fatto che nel racconto mi addentro nella recente storia quarratina, per cui, il lettore si incastra perfettamente nello scenario e diventa primo attore, vagando nei propri ricordi e dando sfogo alle proprie emozioni. Da parte mia non ho fatto altro che “connettermi” a queste componenti affettive, facendo solo l’interruttore e innescando il processo emotivo. Ma continuiamo col racconto perché David Colzi ha fretta di andare in stampa e io non lo voglio far morir di crepacuore. Credevo di avere poca voce in capitolo solo a casa… ma anche al lavoro non si scherza.

…Quante volte si dice <<se ti piglio ti fo una tamburata…>> io credo che, come abbiamo analizzato con Stefano Gori una mattina di queste mentre aspettavamo il nostro turno alle Poste, l’etimologia, il significato originario di “tamburata” venga proprio da li: da Tamburo della Luna più avanti vi spiegherò perché. Il Tamburo della Luna, locale fisicamente adiacente e catastalmente appartenente alla Casa del Popolo di Quarrata, è stato per un decennio e forse più il punto di riferimento per tanti giovani di allora.

Ricordate? Stiamo parlando degli anni settanta quando le discoteche non esistevano ancora e imperversavano i dancing. Quando sul palco suonavano i complessini locali e quando si arrivava alle nove di sera invece che all’una di notte. Quando le mamme accompagnavano le loro figlie a ballare e, magari, verso le undici e mezzo, ciondolavano dal sonno e quando si passava dai tavoli a invitare la ragazza a fare un lento arruffianandosi prima proprio con la sua mamma. Al Tamburo della Luna ci si andava il sabato sera, la domenica pomeriggio e la domenica sera, oltre a noi residenti ne arrivavano numerosi anche dai paesi vicini a Quarrata, il pomeriggio della domenica era sicuramente quando ci divertivamo di più.  Se qualcuno, intorno alle tre e mezzo del pomeriggio di una domenica, si fosse trovato fuori dal bar della Casa del Popolo, avrebbe potuto vedere una Fiat 126 gialla arrivare da Via Montalbano facendo la curva in controsterzo e, in derapata, immettersi in Via Galilei, facendo lo stesso da Via Galilei a Via Fermi dove si parcheggiava, in testa-coda, fra altre due auto. Secondo voi, chi c’era alla guida? Ve lo dico io, c’era quell’imbecille del Cappelli diciottenne, che parcheggiato il mezzo in questo modo rocambolesco, ne usciva fuori accendendo la sigaretta e facendosi notare da tutti: pantalone grigio a zampa di elefante, camperos neri, camicia bianca con il colletto altissimo e gilet  grigio attillato sotto il giubbotto di pelle. Arrivo alla cassa, pago il biglietto 500 lire (circa 25 centesimi di euro) a Leo Fantacci e saluto Ermete che gli siede accanto, salgo le due rampe di scale e saluto Maciste, il barista. Faccio l’altra rampa e arrivo alla pista.

Ci sono i Nuovi Orizzonti che suonano: Vasco Bernardini alla chitarra (a quel tempo l’altro Vasco musicista di Zocca, non era ancora venuto fuori allo scoperto), Angelo Boncompagni (Celestino) al basso, Giancarlo Montini, alla batteria e Antonio Guidotti  alle tastiere. Da quando l’orchestra iniziava con la sua sigla, a quando non andavamo a cena, io e l’ Emanuela Masi ci davamo dentro (non pensate male) ci si dava dentro di boogie woogie, di rock ‘n’ roll, (anche acrobatico e qualche volta si cadeva anche) di cha cha cha o di twist. Come noi altri della compagnia: Roberto Prioreschi e l’Alessandra, Alessandro Leporatti e l’Antonella, Pino Cappiello, l’Arianna Cappelli, la Donata Cappelli, la Giovanna Borsacchi, i fratelli Claudio e Luciano Risaliti, i fratelli Luigi e Francesco Magnolfi, Massimo Filippini, La Rossellina Perna, Giovanni Loré (detto il Piccio), Romano Librizzi (detto Cicala), la Maura Biagini, la Rossana Gherardi e tanti altri, affollavano la pista de Il Tamburo della Luna la domenica pomeriggio. Ah, c’era anche Marco Gradi, e visto che con la sua Beta – come nell’alfabeto greco – arrivava sempre secondo, nel frattempo, per essere primo si era fatto l’Alfa, anzi, l’Alfetta. Sicuramente dimentico qualcuno e chiedo anticipatamente scusa.

Alle otto meno un quarto andavamo a cena e dopo la cena tornavamo al Tamburo. La sera il tono era più sobrio e c’erano più persone, a volte anche migliaia di persone, molto spesso la domenica sera c’erano delle attrazioni nazionali: cantanti, gruppi famosi, show man, comici, fra tutti ricordo benissimo il leggendario Augusto Daolio, il cantante scomparso dei Nomadi, che prima della performance, si divertì a mischiarsi con la folla cercando di abbordare qualche ragazza, da qualcuna non fu riconosciuto fino a che non lo vide sul palco a cantare. Mi ricordo l’autografo di Augusto: scrisse il suo nome partendo dalla sua caricatura, senza mai staccare la penna dal foglio. A quei tempi, quando la discografia funzionava, le sale da ballo dei piccoli centri consentivano agli artisti di promuovere il nuovo lavoro guadagnando anche sulla serata, al contrario di oggi che ci fanno scaricare il nuovo disco da internet per fare pubblicità al mega concerto, spesso unica fonte di introito, otre alla S.I.A.E.

Ma torniamo al Tamburo della Luna e alle tamburate di cui vi ho accennato all’inizio, che hanno a quel tempo forse anche un po’ screditato il locale. Molto spesso succedeva che nella mischia, il più delle volte in maniera indotta, qualcuno si acciuffasse; col passare del tempo questo ha dato origine a rappresaglie: a giurarsi vendetta di domenica in domenica, istituendo vere e proprie combriccole organizzate rivali fra loro che poi, alla fine, nel fare a botte ci prendevano gusto (i gusti… che cosa soggettiva). Ragazzi di venti anni che, forse stimolati dai film western di Sergio Leone, volevano emulare le gesta di Ringo o di Sartana. Anche se è prerogativa di questo mio spazio fare nomi e cognomi per tutte le persone di QUA, di questi ragazzi un po’ agitati non mi pare il caso di parlarne, soprattutto perché molti di loro, oggi, sono dei degni e rispettabili padri di famiglia.

Cari amici, anche questa volta “Concludendo”, facendo onore al suo nome, sta per concludersi. Negli ultimi due numeri la rubrica è uscita forse un po’ dai canoni, a mio avviso però è stata più ricca e più interessante nei contenuti. Sono occorse infatti due  puntate: in questo e nel precedente numero ho voluto stimolare i ricordi e le emozioni dei nostri lettori più attempati e per far questo ho avuto bisogno di rammentare contesti, luoghi e soprattutto personaggi.

Molte delle persone citate hanno potuto leggere di sé, ma mentre scrivo mi sto rendendo conto che tantissimi, purtroppo, non ci sono più, molti scomparsi anche in giovane età e pensandoci bene credo che non basterebbero dieci pagine per rammentare tutti i quarratini che ci hanno lasciato prematuramente (basti pensare alla passata estate). Senza togliere niente agli altri, voglio simbolicamente ricordarne solo tre, scomparsi in due tragici incidenti stradali: Gioni Guidotti, che ci ha lasciato verso la metà degli anni settanta a diciassette anni, il mio primo dolore per la scomparsa di un amico. Gianni Venturi e Daniele Gori, anche loro rispettivamente diciassette e diciotto anni, volati in cielo in una piovosa notte di dicembre del 1985, proprio nel preciso istante in cui nasceva Gesù Bambino. Ricordando proprio questo Natale tragico, voglio fare a tutti voi i miei migliori Auguri Buone Feste, con la speranza che il 2011 sia un anno… da raccontare… per la sua positività in un “Concludendo” di un NOIDIQUA del 2039.

 

 

Foto sopra: Massimo Cappelli nel 1977. La foto è stata realizzata nel Piazzale della ditta “Sardi e Innocenti” da Luciano Toccafondi e stampata dal medesimo al contrario, come si può notare dalla targa della macchina.

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