Paolo Betti

Paolo Betti

di Marco Bagnoli

settembre 2014

In piazza Nannini a Quarrata, a un tiro di schioppo dal campo sportivo, abita Paolo Betti. Paolo ha lavorato una vita nel settore del mobile, producendo quegli indispensabili scheletri di legno sui quali venivano poi modellati i divani; eppure non è per il suo curriculum professionale che è conosciuto in giro. Possiamo anche rivelarvi il suo segreto: Paolo spara! Anzi, sparava. La passione per il fucile inizia a 21 anni, quando prende il porto d’armi per andare a caccia, lungo i sentieri del Montalbano. Saranno poi gli amici che lo coinvolgeranno nel tiro a volo, nei venticinque campi di tiro all’epoca esistenti tra Pistoia e Firenze, oggi del tutto spariti. Per tiro al volo s’intende la cosiddetta Fossa olimpica, vale a dire quella specialità che richiede al tiratore d’intercettare un piattello lanciato casualmente da una delle quindici angolazioni possibili. Fin da subito il nostro Paolo sembra cavarsela niente male – di più, sembra avere quell’istinto indispensabile a questo tipo di sport. Era il 1969 e Paolo cominciava a frequentare tutte le località obbligatorie per i tiratori come lui: Montemurlo, Montevettolini, Coverciano, Arezzo, Lecce e Bologna. Si trattava di fare trasferte per gareggiare… e per vincere. Vincere non era importante solo per la soddisfazione, ma anche per rendere questa passione una spesa non troppo onerosa: un tiratore doveva fare il conto dei colpi sparati – un po’ come Clint Eastwood – ma doveva anche tenere d’occhio i soldi richiesti dall’iscrizione. Insomma, bisognava vincere quel tanto che se ne riprendeva le spese, altrimenti se ne faceva a meno. Anche in questo Paolo sembrava avere un dono di natura – andava a vincita nove volte su dieci; così al ritorno poteva riporre il fucile e intraprendere senza pensieri una settimana di lavoro

In 25 anni di fucilate, non gli bastava una stanza intera per contenere tutte le coppe e le targhe che aveva su su accumulato. Paolo ha sempre alternato la stagione sportiva, fatta di gare e allenamenti, a quella venatoria, che iniziava a settembre, giusto il tempo di cambiare fucile e magari abbigliamento. In effetti l’altra grossa voce di spesa era costituita proprio dai fucili, oggettini pagati i suoi soldi e poi subito rivenduti ad attività terminata, soggetti anch’essi alla celere obsolescenza della tecnologia di un certo livello. I premi delle gare consistevano anche in vincite in denaro, secondo una graduatoria di punteggio e categoria; la Fitav Federazione Italiana Tiro Al Volo, prevedeva una terza categoria “cacciatori”, i quali potevano ambire a salire di categoria attraverso i punteggi delle gare. 

Vinci che ti vinci, anche il nostro Paolo, sullo scorcio degli anni Ottanta, mette insieme i suoi punti e inizia a contarseli; sono anche gli anni nei quali le istanze ambientali mettono alle strette i gestori dei campetti di tiro, e lo sparatore occasionale perde un po’ di motivazione, anche per via delle spese che con l’andar degli anni andavano aumentando. Paolo si trova a passare in prima categoria grazie ai 96 centesimi raccolti sul campo di Lonato, vicino Garda, all’incirca nel momento nel quale una nuova specialità, il Double Trap, si afferma per divenire disciplina olimpica ufficiale nel 1991: questo significa che da allora in poi Paolo si sarebbe trovato a gareggiare contro altri pari grado in categoria o con gli extra – ovvero sia i nazionali, i tiratori che si giocavano le medaglie alle Olimpiadi. Passata la meritata soddisfazione del momento, si trattava poi di adeguarsi alla nuova situazione di gara, dove il livello elevato avrebbe richiesto da Paolo un adeguato impegno preparatorio: una cosa non molto congeniale ad uno come lui, che si limitava a imbracciare il fucile solo il sabato e la domenica. Non è facile sparare nei giorni feriali, quando il pensiero torna all’officina con gli otto operai che si è lasciato a casa. Così, fatti un paio di tentativi con una serie di allenamenti al campo di Montecatini, Paolo ripone il fucile senz’altro a pretendere.

Il suo nuovo hobby a tempo pieno è fare il nonno, in compagnia dei nipoti Marco e Matteo, che gli danno una mano.

 

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