Curiosità storiche del nostro territorio

Curiosità storiche del nostro territorio

di Luciano Tempestini

marzo 2024

Lo scrittore francese Marcel Pagnol (1895-1974) scriveva: «La ragione per cui le persone trovano così difficile essere felici? Che vedono il passato migliore di quello che era, il presente peggio di quello che è, e il futuro meno risolto di quello che sarà». In effetti non è facile dire se Pagnol avesse ragione o meno, però è indubbio che conoscere la storia del nostro territorio è affascinante e ci aiuta a gettare le basi per comprendere ed apprezzare il nostro presente.

Così la mia curiosità mi ha portato a sfogliare alcuni scritti storici inerenti Quarrata e non solo, per capire com’era organizzato il territorio da un punto di vista politico e sociale, quante erano le famiglie e come erano distribuite. Vi confesso che ho letto molto ed ogni libro rimandava ad un altro, portandomi in giro per la nostra piana a cercare le varie fonti cartacee. Comunque, ecco un breve resoconto, con la speranza di incuriosire qualcuno, soprattutto i giovani, e spingerlo a frequentare le nostre biblioteche.

Partiamo dal VII secolo; quello era il tempo della dominazione longobarda e il ceto dirigente era legato al clero. In particolar modo qui da noi, il fulcro del potere era in mano al vescovado pistoiese, che emanava le leggi, che poi venivano amministrate nelle varie “pievere”, cioè le pievi locali. Sempre il vescovado era addetto alla riscossione delle tasse. Un esempio di cosa venisse incassato, lo possiamo apprendere “Dal memoriale di Ildebrando vescovo di Pistoia” risalente al 1132, dove si legge: “…dalla pievere di montemagno (ricevo) l’affitto di 5 scafili di buon frumento, 3 scafili di miglio, 2 di orzo…” Addirittura il documento si conclude rendicontando il ricevimento di 24 pani. Il carteggio informa poi di quali territori ricadevano nella giurisdizione di Pistoia, ovvero Agliana, Vignole, Aiolo e Carmignano.

Dopo circa un secolo (1244) emergono quattro centri abitativi, sui 124 piccoli comuni rurali della Piana: Quarrata, Tizzana, Vignole e Montemagno. I consoli locali erano: Arlotto per Quarrata, Amadore per Montemagno, Villano per Tizzana e Lonbardi per Vignole. E’ facile credere che questi nomi, nei secoli, si sono trasformati in cognomi tipici della nostra città: si pensi agli Amadori o ai Lombardi. Ogni nucleo aveva un consiglio direttivo, una sorta di piccolo parlamento locale, i cui membri erano eletti fra la popolazione e il loro compito era di applicare leggi emanate da Pistoia, approvandone gli statuti, cioè le leggi locali.

Nel 1255 grazie al “Liber Finium” apprendiamo poi che i suddetti consigli decidevano anche i confini dei vari agglomerati del distretto pistoiese. Col tempo, i centri rurali di maggiore importanza cominciarono ad organizzarsi in comunità ed ebbero una sorta di autonomia amministrativa: nominavano i consoli, mantenevano e regolavano l’uso comune di pascoli, dei boschi e delle strade. Va però sottolineato che le chiese, intese come edifici e centri di potere, rappresentavano sempre il collante della società, ed era attorno ad esse che proliferavano i “fuochi”, ovvero i nuclei familiari (composti da una media di 6/7 persone), censiti, non a caso, nel “Liber Focorum”, un manoscritto che registra nel 1226 i cittadini rurali. Qui, ad esempio, si annota che Montemagno ne contava 431, attestandosi come la comunità più popolosa, seguita da Casale con 343, Carmignano con 280 e Agliana con 231. E come in ogni società , vi era una stratificazione dei ceti, divisi per classi sociali. Sempre da fonti quali il “Liber Focorum” si comprende che la popolazione era suddivisa fra: agiati, mediani, poveri e miserabili. Per ciascuna categoria, il manoscritto forniva la spiegazione delle loro condizioni. Nota curiosa è che dalle nostre parti, la comunità più ricca era Tizzana, avendo 11 agiati, al contrario di Quarrata, che ne aveva solo 4.

Scartabellando fra gli archivi, mi sono poi imbattuto, negli scalpellini, per secoli, vera e propria casta di lavoratori. Infatti pochi lo sanno, ma dal 1100, nelle nostre zone iniziarono a proliferare maestranze specializzare in questo tipo di murature, e nei secoli le nostre cave divennero un’eccellenza, come dimostra il fatto che l’architetto Giuliano da Sangallo, nel 1495, scelse le pietre della cava di Montemagno per realizzare la chiesa della Madonna dell’Umiltà a Pistoia. Chi volesse, può rileggere sul nostro sito noidiqua.it, l’articolo “Cave e sentieri dimenticati del Montalbano”, dove si denuncia l’abbandono di quei luoghi, patrimonio storico della nostra comunità, che tutt’oggi vengono depredati da cittadini incivili che si appropriano delle pietre rimaste per realizzare murature private, nell’indifferenza generale di tutti. Neppure le piccole casine in pietra, una volta abitate dagli scalpellini durante i periodi di lavoro, vengono risparmiate. Ad onor del vero, uno dei pochi che provò a valorizzare quei luoghi stupendi immersi nel verde, fu l’ex sindaco Stefano Marini, ma purtroppo il suo esempio non ebbe seguito.

E allora, in conclusione, torno a chiedermi: «La storia serve? E’, come si dice con retorica, magistra vitae?» Non lo so, però mi piace ricordare quel che ha detto qualche tempo fa il professor Tomaso Montanari, in un’intervista rilasciata in un programma Rai, rispondendo ad una domanda circa la possibilità di cambiare la storia: «Sì si può cambiare, si può manipolare, ognuno la può interpretare soggettivamente, ma la storia dovrebbe servire a non ripetere gli errori e gli orrori passati».

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