Festa di San Martino

Festa di San Martino

di Marco Bagnoli

dicembre 2010

C’era una volta la festa di San Martino a Montorio. E c’è ancora; solo che allora era tutt’un’altra storia. Lo dicono le nonne che ancora si ricordano. E qualche genitore, che all’epoca era piccolo. E perfino le figlie, che la sanno solo raccontata. E in un pomeriggio caldo di ottobre si mettono tutti a sedere e parlano e parlano.

Il Santo patrono era l’undici di novembre, un giorno di festa vera, che si stava tutti quanti a casa e non si andava a lavorare, chi era grande, e nemmeno a scuola. Questo fino al 1955 almeno, poi è rimasto un giorno feriale come gli altri. L’inizio di novembre coincideva con la chiusura dell’anno agrario. Passata la mietitura mentre ancora si aspettava di essere a anno nuovo per iniziare la raccolta delle olive, era il momento in cui i proprietari e i mezzadri facevano i loro conti e si restava intesi sui soliti accordi per l’avvenire. Un momento insomma che si tirava il fiato e ci si godeva un anticipo sul giorno di Natale.

Il giorno della festa di Orio si passava in casa senza troppe complicanze. Al mattino c’era la messa, anzi tre; Orio faceva capo alla parrocchia di Lucciano, che aveva per patrono Santo Stefano, mentre la gente che accorreva da Buriano festeggiava poi per conto suo il 16 di agosto per San Rocco. Per la strada, nella piazzetta del circolo, stavano due bancarelle di dolci, oltre all’appalto con le sigarette e alla stanzetta di quella signora che teneva aperto per vendere i dolci, solo la domenica: faceva questi fiocchetti rosa di zucchero e chi era bambino si ricorda che andava a vedere per mangiarsene i ritagli. Il resto della mattinata lo si passava in casa a preparare il mangiare. Il mangiare per la sera, perché di giorno era un pranzo normale, non era il desinare importante della festa. Il giorno di San Martino era una delle poche occasioni di vedere un pollo in un piatto e allora bisognava fare le cose per bene: le altre volte era segno che o stavi male te o stava male il pollo. Il maiale aspettava ancora nello stalluccio fino al mese di dicembre, magari un paio, uno per casa e uno all’ingrasso per venderlo e ripagare pure quell’altro. Allora toccava di andare in cerca delle erbe con cui foderare il tegame al coniglio, perché con il coniglio le rape stanno bene. Poi alle tre, il tempo di un rosario o poco più e dalla chiesa si partiva per la processione, con lo stendardo rosso e la banda, quella di Lucciano, dove c’andavano a suonare dai posti vicini.

Dal momento che si rincasava (questione di poco), arrivavano gli ospiti: d’altronde San Martino era l’occasione per invitare gli ospiti! Le famiglie di Orio, di per sé già numerose, facevano a gara tra loro a chi aveva più gente a cena. Poteva essere qualche parente, oppure un amico che stava fuori Orio e che poi contraccambiava invitandoti per la festa del paese suo. Si preparava la tavola col servito buono per fare bella figura e chi non aveva il vinsanto rimesso in casa di suo s’ingegnava mescolando il liquore puro con l’essenze alla frutta delle boccettine. Era una festa importante, perché ci venivano tutti gli abitanti delle zone vicine quando era bell’e stata dalle parti loro. Oggi la si celebra ancora, il giorno preciso di San Martino, tutti di fretta per ritrovarsi a cena, ricordo di una festa che è ormai da tanto un ricordo.

Martino taglia in due il proprio mantello per condividerlo con un mendicante. La notte sogna Gesù che gli riporta quella metà: <<Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito>>. Al risveglio il suo mantello era integro.

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